Numeri e narrazioni. L’assurdo dibattito sui “ricchi” da 1.400 euro al mese

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Giovedi ci sono state le audizioni di alcune istituzioni indipendenti (Istat, Banca d’Italia, Corte dei Conti, Upb) sulla legge di Bilancio 2026, che contiene una riduzione di due punti percentuali (dal 35 al 33 per cento) dell’aliquota Irpef sullo scaglione dai 28 ai 50 mila euro lordi. Le audizioni hanno evidenziato alcuni punti importanti. Uno relativo a questa manovra, l’altro relativo al complesso degli interventi sull’Irpef fatti negli ultimi cinque anni (inclusa quindi la riforma Draghi del 2021). Sul primo punto, si nota (audizione Upb, pag.59) che i 2,7 miliardi stanziati dal governo Meloni per la riduzione Irpef del 2026 vanno per più di due terzi a impiegati (39,7 per cento) e pensionati (27,6 per cento), e per il solo 5,5 per cento ai dirigenti. Anche in termini di riduzione dell’aliquota media, i dipendenti impiegati hanno il beneficio maggiore (0,4 per cento). Sul secondo punto, (audizione Upb, pagg.61-68) si nota come alla fine di questo ciclo di interventi sull’Irpef – la maggior parte fatta dal governo di centrodestra – l’imposta sia diventata più progressiva e abbia accentuato il carattere redistributivo. “Il profilo complessivo rimane caratterizzato da riduzioni significativamente più elevate nelle fasce basse e medie, mentre l’impatto decresce progressivamente all’aumentare del reddito”, si legge con chiarezza disarmante.   In un paese normale sarebbe partito il seguente dibattito: com’è possibile che in Italia c’è l’unica destra del mondo che favorisce i redditi medio-bassi a discapito di quelli medio-alti che detengono (fonte: Ocse) il primato della più pesante tassazione nel mondo occidentale? Come, tra l’altro, testimoniato dalla palese anomalia del fisco italiano, che è quella di far partire l’aliquota massima (43 per cento, a cui vanno aggiunti almeno due punti di addizionali locali) a un livello – 50 mila euro annui – che è circa quattro volte più basso di quello a cui nella maggior parte dei paesi europei scatta la medesima aliquota.   In Italia è invece partito un altro dibattito. Sfruttando la recente, e particolarmente complessa, scoperta matematica secondo cui il 2 per cento di 1.000 (= 20) è in valore assoluto maggiore del 2 per cento di 100 (= 2) – una scoperta sensazionale, che i freddi report di Bankitalia e Istat hanno dovuto loro malgrado ricordare – un noto quotidiano ha voluto sbattere il mostro in prima pagina, titolando che allora la manovra “favorisce i ricchi”. Con la sola eccezione dl Foglio e di qualche altro isolato quotidiano, al resto dell’informazione italiana non è parso vero di avere a disposizione la narrazione più comoda e rassicurante: la destra favorisce i ricchi, la sinistra difende i poveri. Dirige l’orchestra, il maestro Beppe Vessicchio (la presente valga come omaggio). A quel punto la politica, da diversi decenni incapace di proporre narrazioni autonome tanto da dover rincorrere sistematicamente quelle di giornalisti, magistrati o personaggi dello spettacolo, è andata dietro al ritornello con tutta la fanfara. Comprensiva, ca va sans dire, del superclassico: “la patrimoniale”, proibito oggetto dei desideri della sinistra tradizionale.   Nella giornata di ieri il capogruppo Pd in commissione Finanze alla Camera si è persino sentito in dovere di consigliarmi di informarmi meglio, visto che a dire che la manovra favorisce “i due quinti più ricchi” della distribuzione dei redditi è stata addirittura l’Istat. Quindi Marattin, zitto e studia, abbiamo ragione noi: siamo in presenza di Robin Hood al contrario. Né al dirigente Pd in questione né alla sua segretaria politica (o al suo responsabile economico), presumo, è venuto in mente di controllare da quale soglia partano questi famosi “due quinti più ricchi” della distribuzione Irpef. Avrebbero, forse con un po’ di stupore, scoperto che partono dal poco lussurioso stipendio di circa 1.400 euro netti al mese. Che a questo punto è la nuova soglia-Pd oltre la quale sei uno sporco ricco affamatore del popolo.   Un altro paio di giorni al massimo, e la polemica si spegnerà nel nulla. Che è lo stesso nulla da cui ha preso origine. Perché, come sopra esposto, la realtà è diametralmente opposta a ciò di cui tutto il paese ha discusso per alcuni giorni. Solo che a nessuno frega un granché, in fondo. A tutti i poveri capitani di ventura, tristi e illusi Don Chisciotte del buon senso, sognatori di un paese noiosamente normale, non rimane che da chiedersi quanto ancora l’Italia creda di poter andare avanti con questo modo di gestire e manipolare il dibattito pubblico del paese.   Luigi Marattin, segretario Partito Liberaldemocratico