Come in altri momenti storici e critici della nostra travagliata vita nazionale, e l’esempio più immediato sono gli scioperi operai del 1943 e il glorioso luglio 1960, lavoratrici e lavoratori sono ancora una volta chiamati a scendere in campo per salvare l’Italia e la democrazia. In uno scenario internazionale sempre più caratterizzato dalla guerra in Ucraina e dai tentativi di riarmo dell’Unione europea, dall’aggressione annunciata degli Stati Uniti al Venezuela e dal perdurare del genocidio in Palestina (alcune centinaia di morti palestinesi nelle “scaramucce”, Tajani dixit, che hanno seguito la “tregua” firmata a Sharm el Sheik, il governo Meloni tenta la carta dell’ulteriore stretta repressiva per mantenere il suo fragile controllo sul nostro Paese.Bersagli di tale stretta sono innanzitutto il movimento che si sta esprimendo con forza contro la complicità italiana nel genocidio; quella parte, assolutamente maggioritaria, del sindacato, Usb, Cgil, Cobas e altri, che non accetta di essere subalterno allo schieramento riarmista, guerrafondaio e filoisraeliano che va oltre il governo Meloni, ma anche la libertà dell’informazione e quella dell’insegnamento, e la magistratura nelle sue varie articolazioni istituzionali, da quella ordinaria a quella contabile.L’obiettivo è quello di dar vita a un’azione di governo sganciata per quanto possibile da vincoli di ordine costituzionale e normativo in genere che sappia sgretolare ogni opposizione reale per realizzare il sogno proibito delle classi dominanti italiane: accentuare ulteriormente l’asservimento del Paese agli Stati Uniti, schiantare definitivamente ogni pretesa del lavoro subordinato a una parte maggiore della torta che si rimpicciolisce, assecondare le spinte per il riarmo e contro la tutela ambientale che provengono direttamente dalla finanza internazionale, annichilire i diritti, sia civili che sociali, mantenere le masse in stato subalterno e catatonico, demolendo ogni spirito critico e ogni aspirazione all’alternativa.Se non è ancora fascismo nel senso pieno del termine, la direzione è inequivocabilmente tracciata. Nell’Italia ideale di Meloni & C. non c’è spazio per giornalisti differenti da Bruno Vespa, sindacati differenti dalla Cisl, magistrati differenti da Nordio. E per i giovani non c’è spazio tout-court a meno che non decidano di tentare la carriera politica, possibilmente a destra, ovvero imbocchino la strada senza ritorno dell’alienazione autodistruttiva. Si tratta quindi di un modello che va combattuto con tutte le forze.Ma la potenza di questa ideologia dominante, per quanto stracciona e penosa sul piano culturale, ideale e scientifico, è tale che essa contamina buona parte della cosiddetta opposizione, incapace di gettare le basi di un’alternativa credibile e in fondo rassegnata a occupare qualche spazio di complemento, nelle autonomie territoriali o altrove. Il dramma del Partito democratico, incapace di scegliere in modo netto dove collocarsi, specie per quanto riguarda le questioni di ordine internazionale, oggi preminenti, ma anche quelle di ordine interno, dai diritti lavoratori all’indipendenza della magistratura, si traduce quindi nella tragedia di un intero Paese lasciato in balia delle falangi dei forchettoni meloniani e accoliti.La giornata del 28 novembre, lo sciopero generale che è in preparazione e riguarda tutte le questioni oggi in ballo e la manifestazione nazionale che si terrà il 29 novembre a Roma assumono importanza decisiva per porre fine al declino del popolo italiano e la sua definitiva trasformazione in una massa amorfa di spettatori passivi della demolizione della propria dignità che va di pari passo con l’aspirazione al necessario cambiamento.Rilanciando l’appello trasmesso al Fatto dal dirigente dei Cobas Piero Bernocchi e quello di altri, ritengo che tale sciopero e le manifestazioni che lo accompagnano debbano essere totalmente unitarie, in modo tale da segnare l’avvio di un mutamento di rotta. Le grandi giornate del 22 settembre e del 3 ottobre hanno indubbiamente costituito un buon avvio in questo senso. Ora occorre insistere e intensificare le attività in modo tale da cominciare finalmente a costituire un punto di riferimento per la grande maggioranza del popolo italiano, disorientato, sbandato e deluso dalle miserie della politica, anche sindacale, degli ultimi trenta e più anni.L’altro importante appuntamento cui guardare è il referendum sulla cosiddetta separazione delle carriere, che si sta inevitabilmente caricando di molti altri significati, relativi sia alla difesa dello Stato di diritto che più in generale al giudizio sul governo Meloni. Ciò appare inevitabile e alquanto tartufesca appare pertanto la posizione di chi vorrebbe limitarne il significato a questioni di ordine tutto sommato tecnico, tanto più che la portata fortemente politica del quesito è ben chiara al governo che intende costruirvi sopra una vera e propria campagna contro i giudici.L'articolo Contro il governo e per il no al referendum, tornino in campo lavoratrici e lavoratori proviene da Il Fatto Quotidiano.