di Alessandra Fabbretti / Dire * – Sembra volgersi verso la conclusione, la crisi che per due settimane ha paralizzato gran parte del Mali, con alcune scuole e stazioni di benzina che stanno lentamente riaprendo. Lo confermano media locali, che hanno parlato di “embargo del carburante” da parte di un gruppo armato, lo Jnim, affiliato ad Al-Qaeda. “Innumerevoli gli attacchi e le operazioni militari” dell’ultimo periodo, come scrive Pressafrik, che sottolinea come l’arrivo delle forniture, per il momento solo nelle aree della capitale Bamako e di Ségou, sia un punto a favore del governo contro i jihadisti, ma non la vittoria complete: “Ci sono città, come Mopti, da un mese senza carburante e corrente elettrica”. Il blocco al carburante ha determinato impedimenti alla circolazione dei veicoli e automezzi pesanti, con danni enormi all’economia, oltre che all’interruzione delle attività scolastiche. La crisi arriva mentre sta per compiere un anno intanto il governo ad interim del primo ministro Abdoulaye Maiga, alla guida di un governo entrato in carica dopo i colpi di stato del 2020 e 2021. La crisi col gruppo Jnim è iniziata a settembre e, all’apice della carenza di carburante, vari Paesi stranieri hanno suggerito ai connazionali di evitare viaggi in Mali oppure, se residenti, di lasciarlo. Tra questi, Stati Uniti, Francia, Canada, Germania e Italia, tra i più critici del Mali post-golpe, che con essi ha tagliato i rapporti per rafforzare quelli politici, militari e commerciali con la Russia. Inoltre, l’Unione africana ha lanciato un appello alla protezione dei civili, suggerendo l’intervento di una forza internazionale per porre fine alla crisi. A questi annunci, ieri l’esecutivo di Bamako ha reagito annunciando che gli stranieri di quei Paesi che lasceranno il Mali saranno dichiarati “persona non grata” e non potranno rientrare, denunciando “ingerenze”. A fine settembre, nel corso dell’ottantesima Assemblea generale dell’Onu, Maiga ha puntato il dito contro l’Algeria, accusata di sostenere i miliziani nel vicino Mali in virtù della sua “profonda esperienza nel sostegno ai gruppi terroristi”. Nel luglio precedente, scontri in prossimità del confine hanno causato forti perdite tra i ranghi maliani, sostenuti dai russi. Il brigadier generale ha accusato anche l’Ucraina di fornire droni suicidi ai gruppi armati. La scorsa settimana, Maiga ha tenuto un discorso pubblico in cui ha avvertito che “ogni goccia di carburante ricevuta equivale una goccia di sangue”, per ribadire i rischi che corrono, da un lato, gli autisti che trasportano carburante e, dall’altro, i militari impegnati a respingere i jihadisti. Domenica scorsa nell’area centrale di Timbuctù, lo Jnim ha rivendicato l’uccisione di 48 soldati dopo l’attacco a una base militare a Soumpi, poi riconquistata dall’esercito. Scontri regolari interesserebbero anche l’area di Sikasso, a sud-est di Bamako, dove venerdì l’esercito avrebbe accusato altre perdite, prima di avere la meglio e diffondere le foto dei miliziani senza vita. Ieri, la testata Mali Actu riferiva che il governo è “sotto ricatto” da parte di due gruppi armati, che chiedono 2 miliardi di franchi Cfa, l’equivalente di 3 milioni di euro circa, per la liberazione di ostaggi, senza chiarire il nome di tali movimenti.* Fonte: agenzia Dire.