Quando anche la giustizia è una trappola: una ricerca denuncia il lato nascosto degli abusi domestici

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Per molte donne europee, lasciare un partner violento non significa mettersi in salvo. Significa entrare in un nuovo labirinto: quello della giustizia familiare, che spesso finisce per aggravare il trauma della violenza. Un ampio studio condotto in cinque Paesi — Bosnia, Inghilterra e Galles, Francia, Italia e Spagna — solleva interrogativi sulla capacità dei sistemi giudiziari di proteggere donne e bambini. Quali sono le conclusioni della ricerca? La giustizia familiare, così com’è, rischia di riprodurre la violenza anziché contrastarla.La ricerca La risposta della giustizia familiare agli abusi domestici, condotta da Shazia Choudry e Daniela Rodriguez Gutierrez, realizzata in Italia grazie alla collaborazione della rete D.i.Re, mostra un problema comune a tutti i sistemi giudiziari analizzati, e una comprensione parziale, spesso fuorviante, della violenza domestica.Giudici, avvocati e consulenti tecnici tendono a classificare gli episodi come semplici conflitti tra ex partner, minimizzando la gravità degli abusi o definendoli come “storici” ovvero legati al passato della vita di coppia e quindi irrilevanti per le decisioni sull’affidamento.View this post on InstagramA post shared by D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza (@direcontrolaviolenza)A ciò si aggiunge una sfiducia generalizzata verso le denunce delle donne. Le “false accuse”, peraltro statisticamente rare, vengono percepite come frequenti e strategiche. Il risultato? Bambini costretti al contatto con genitori violenti anche quando gli elementi a tutela suggerirebbero prudenza.In tutti i Paesi esaminati, molte sopravvissute riferiscono di essersi sentite ignorate o screditate nelle aule di tribunale, spinte a minimizzare la violenza per evitare ripercussioni processuali, giudicate più severamente degli uomini nel loro ruolo genitoriale. La responsabilità del mantenimento del rapporto padre–figlio ricade quasi sempre sulle madri, anche quando denunciano pericoli concreti. Per molte, il percorso giudiziario diventa un’ulteriore forma di trauma: frustrazione, impotenza e la sensazione di essere di nuovo sotto accusa.Lo studio evidenzia problemi strutturali comuni: perizie che richiedono mesi o addirittura un anno, tribunali sovraccarichi e giudici senza una formazione adeguata. Inoltre c’è scarsa comunicazione tra processo penale e processo civile con costi elevatissimi, che tagliano fuori molte donne dall’assistenza legale.Nonostante le critiche internazionali e l’assenza di fondamento scientifico, la teoria dell’“alienazione parentale” continua a influenzare le decisioni dei tribunali europei. Spesso il termine non viene nemmeno pronunciato ma i meccanismi sono gli stessi: paura, ansia o comportamenti protettivi delle madri vengono letti come tentativi di manipolare i figli contro il padre. Questa lente interpretativa distorce il quadro e rischia di delegittimare le denunce di violenza, ribaltare la colpa sulle vittime, proteggere i perpetratori. Non è un caso che nei procedimenti si fa riferimento ai diritti umani per richiamare alla tutela del “diritto alla vita familiare” del genitore violento, non in riferimento alla sicurezza dei bambini o (non sia mai!) alla libertà dalla violenza delle donne.La ricerca individua quattro interventi urgenti da fare per ridare equità ai sistemi giudiziari: la formazione obbligatoria su violenza domestica, stereotipi e discriminazioni rivolta a giudici, avvocati, assistenti sociali e consulenti. Standard rigorosi e verificabili per chi svolge perizie e valutazioni tecniche. Riforme strutturali, inclusi tribunali specializzati, e un miglior coordinamento tra giustizia civile, penale e servizi territoriali. Infine risorse adeguate per garantire tempi rapidi, accesso reale all’assistenza legale e servizi equamente distribuiti.In Italia, la violenza domestica resta un’emergenza sommersa. Secondo l’indagine condotta del 2019, grazie al Progetto Step, dell’Università della Tuscia, in alcune regioni un uomo su due ritiene accettabile la violenza “in determinate circostanze”. I bambini sono spesso testimoni invisibili: nel 63% delle donne accolte nei Centri antiviolenza ci sono figli minori, e un bambino su cinque subisce violenza assistita.Il sistema giudiziario, intanto, fatica a riconoscere le criticità nonostante le continue denunce delle associazioni per i diritti delle donne: l’affidamento condiviso è applicato nel 90% dei casi, sono favoriti i contatti non protetti con il genitore violento e le madri sono spesso giudicate “non collaborative”, i minori non ascoltati o allontanati con prelievi coatti.La ricerca, cita la riforma Cartabia come elemento di innovazione peccato che non venga applicata. Per esempio, i bambini continuano a non essere ascoltati e i consulenti tecnici d’ufficio sono quasi sempre privi di competenze specifiche se non attraversati da pregiudizi misogini (come ha dimostrato la ricerca di Patrizia Romito e Marianna Santonocito).Un’indagine che trova conferme nel commento di Margherita Carlini, psicoterapeuta, criminologa e ctp che parla della propria esperienza personale:“Quello che riporta la ricerca, è un quadro perfettamente coerente e aderente, alla situazione attuale nei contesti separativi e di valutazione delle competenze genitoriali. Persiste una evidente difficoltà nel voler e saper riconoscere la violenza e quindi distinguerla dalle situazioni conflittuali, e di recepire quanto previsto dalla Riforma Cartabia. Per quello che è la mia esperienza, le allegazioni di violenza, previste dalla Cartabia, non vengono prese in considerazione dai ctu che valutano le competenze genitoriali. Nei procedimenti di affido, invece di prestare attenzione alla quantificazione del danno che la violenza ha prodotto sulle madri e i minori, si continua a giudicare le vittime. Alle donne che hanno denunciato per tutelare i figli, viene chiesto, in sostanza, di scindersi e di adottare azioni che, se non richieste da professioniste, potremmo definire patologiche: ovvero di mantenere un rapporto con il padre dei propri figli. Pena essere ritenute ostative. Sono situazioni allarmanti. Alla donne viene chiesto, anche in presenza di elementi eclatanti di violenza, di sopportare per il benessere dei figli. Il sistema fa richieste che sono collusive con la violenza diventando uno strumento nelle mani del maltrattante che continua ad avere potere sulla ex e i figli. E se la donna non si piega può subire l’inversione del collocamento o l’allontanamento del figlio”.L'articolo Quando anche la giustizia è una trappola: una ricerca denuncia il lato nascosto degli abusi domestici proviene da Il Fatto Quotidiano.