L’AI si diffonde. Come rispondere ai nuovi problemi (senza eccesso di norme) secondo Zecchini

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Le trasformazioni indotte dall’Intelligenza Artificiale appaiono sempre più chiare col diffondersi della sua applicazione in ogni campo con una rapidità senza precedenti nell’evoluzione delle tecnologie di massa. Altrettanto evidenti hanno cominciato a stagliarsi le difficoltà poste dai nuovi problemi a cui hanno dato origine. In Italia, peraltro, il dibattito pubblico si è concentrato finora sulle conseguenze negative per l’occupazione di larghe fasce di popolazione, sul contrasto alle false informazioni al pari delle frodi, e sul ruolo della regolamentazione nello sviluppo di questa tecnologia.Rallentare questo avanzamento tecnologico con vincoli sempre più stringenti non appare come una soluzione valida se non si vuole condannare il Paese ai margini del progresso sociale ancor prima di quello del benessere economico. Per i governanti è necessario cavalcare piuttosto che vincolare questa ondata di profonde trasformazioni per non restare indietro rispetto ai paesi avanzati e ancor più per non approfondire la dipendenza dai leader che si sono lanciati in una corsa tanto per la supremazia tecnologica, che per la difesa del loro modello sociale.Sulla rapida pervasività dell’IA in ogni attività si è sviluppata in breve tempo una notevole letteratura a cui si sono aggiunti da ultimo alcuni studi sulle disparità di diffusione dell’uso dell’IA tra paesi e anche al loro interno, sulle implicazioni per la concorrenza sui mercati dei prodotti e sulla produttività del lavoro. Secondo le statistiche ufficiali si è ancora nella prima fase di adozione di questa tecnologia da parte delle imprese e degli individui. In Europa nel 2024 è impiegata in media dal 13,5% delle imprese, quota che varia tra il picco del 27,6% in Danimarca e il 3,1% nella Romania. L’Italia si colloca nelle posizioni di coda con una quota dell’8,2%.Grandi differenze anche tra settori economici, imprese e tipi di tecnologie AI impiegate. Va sottolineato che il campo dell’IA è molto esteso perché include machine learning, deep learning, LLL, generative foundation models, agentic, IOT ed automazione robotica basati su AI, e altre applicazioni, insieme a big data analysis. L’impiego maggiore si riscontra tra le grandi imprese con una quota del 41,2% nell’Ue, nel comparto delle attività Ict, in cui è impiegato da quasi la metà delle imprese (48%), e in quello dei servizi professionali (31%). Questi dati non rivelano appieno fino a che punto le imprese, anche le più avanzate, sfruttino il potenziale dell’AI in quanto un suo completo utilizzo comporta una profonda riorganizzazione delle strutture e della gestione dell’impresa.Soltanto indagini microeconomiche a livello di impresa possono mostrare l’effettiva pervasività dell’AI nel trasformare imprese, management e mercati, piuttosto che essere considerata come un’altra tecnologia da aggiungere alle strutture esistenti. Dall’evidenza raccolta sembra che, con l’eccezione dei giganti americani del web, il sistema delle imprese dei paesi avanzati stia attraversando ancora la fase iniziale di un lungo e difficile percorso di avanzamento nell’apprendimento e nello sfruttamento dell’AI.In questa prospettiva sono importanti le recenti indagini dell’Ocse che attingono a una vasta messe di dati microeconomici sulle imprese di 14 paesi tra cui l’Italia, dati tratti da molte fonti. Dall’analisi si evidenzia la grande dipendenza dell’AI da altre tecnologie abilitanti e anche l’interdipendenza tra le stesse tecnologie. Per esempio, se l’uso dell’AI è condizionato dall’accesso a grandi banche di dati e dal ricorso al cloud computing, entrambi richiedono a complemento l’accesso a connessioni a banda larga o ultralarga e l’intervento di competenze adeguate. Queste ultime in Italia sono attualmente insufficienti a soddisfare la grande domanda. La carenza di queste pre-condizioni ostacola la diffusione dell’impiego dell’AI e tende a confinarla a segmenti ristretti del sistema imprese.Gli effetti sono già evidenti nelle statistiche. L’adozione aumenta con la dimensione dell’impresa, col risultato di una differenza di ben 30 punti percentuali tra la quota delle grandi e quella delle piccole imprese (41,2% contro 11,2% nell’Ue nel 2024). Questo divario così grande permane indipendentemente dal paese considerato e dall’età dell’impresa, come risulta dalle verifiche econometriche. La spiegazione va cercata sia nella complessità di inserire l’AI nel tessuto operativo aziendale, sia nella disponibilità di ampie economie di scala che permettano di ammortizzare i considerevoli investimenti richiesti.Nondimeno, il ricorso ai servizi dell’AI consente anche a startup e piccole imprese di contenere i costi per competere efficacemente sul mercato. Nel 2024 le quote maggiori di Pmi che vi ricorrono l’hanno impiegata per la gestione aziendale, le vendite, il marketing e la cybersecurity, molto meno per l’innovazione e la ricerca. Il loro dinamismo nello sviluppare ed applicare modelli di AI ha attratto l’attenzione delle maggiori imprese, che hanno intensificato le iniziative di acquisizione delle stesse.Un importante effetto che le analisi econometriche colgono sta nell’incremento della produttività del lavoro sia in assoluto, che in confronto alle imprese non utilizzatrici. Le analisi dell’Ocse, benché usino una misura approssimativa della produttività che è data dal fatturato per occupato, piuttosto che dal valore aggiunto per ora di lavoro, mostrano che mediante le tecniche avanzate dell’AI le imprese ottengono maggiori guadagni di produttività. Il risultato è attribuito in buona parte all’investimento in capitale umano, ovvero formazione e competenze avanzate, in quanto non è raggiungibile altrimenti.Ai benefici che discendono dal suo impiego si contrappongono le distorsioni a cui possono dare adito nel funzionamento del mercato e nella sicurezza delle attività economiche. In particolare, può essere impiegata da alcune imprese per alterare le condizioni di parità nella concorrenza e ottenere vantaggi a scapito di altre imprese, o per conquistare una posizione dominante nel mercato. L’analisi dell’Ocse si concentra sul duplice confronto tra utilizzatori di AI generativa e non-generativa, e tra sviluppatori dell’una e dell’altra.Tra gli sviluppatori rileva una correlazione tra l’attività brevettuale dei leader di mercato e la concentrazione di imprese operanti nel mercato, insieme al persistere di questa tendenza pur in presenza di una continua evoluzione della tecnologia AI. Al tempo stesso, il rialzo medio dei prezzi sui costi (markup) aumenta dopo il primo brevetto nel campo dell’AI, ossia l’innovazione tecnologica tende a conferire all’impresa il potere di incrementare i suoi margini di guadagno. In contrasto, tra gli utilizzatori, in una indagine limitata a Francia e Portogallo, non si rileva lo stesso andamento e al markup comparativamente più basso si accompagna una più ampia quota del mercato. Le piccole imprese e le giovani, in particolare, tendono ad applicare l’AI generativa col risultato di praticare markup relativamente più alto e detenere quote di mercato meno ampie delle altre.Ma in generale la complessità dell’impatto sulla formazione dei prezzi e la concorrenza nei mercati va oltre la prospettiva seguita in questa analisi. Più della metà delle imprese in America come in Europa usa algoritmi di AI per definire le politiche di prezzo e per profilare i propri clienti. Mediante questi strumenti diventa più agevole per le imprese distorcere il funzionamento dei meccanismi della libera concorrenza per acquisire vantaggi indebiti. Le forme e gli esempi di distorsioni sono diversi e non è semplice rilevarli e contrastarli. Fenomeni di collusione volontaria o involontaria nella fissazione dei prezzi, accentuata differenziazione di prezzo tra clienti facendo leva sulla profilazione delle caratteristiche del soggetto, pratiche predatorie di prezzo per espellere i concorrenti, abuso di posizione dominante nella gestione del mercato per favorire i propri prodotti, manipolazione delle informazioni per fuorviare gli operatori, l’influenzare surrettiziamente le decisioni di masse di soggetti determinando aggregazioni verso lo stesso comportamento (herding), questi sono alcuni degli esempi.Gli algoritmi impiegati da un’impresa possono apprendere ad uniformarsi ai prezzi di un concorrente determinando di fatto collusioni senza preventivi scambi di informazione tra i due e anche all’insaputa degli stessi. L’utilizzo di uno stesso algoritmo da parte di più imprese che ne acquistano i servizi può condurre a indirizzare più soggetti verso il medesimo comportamento, determinando grandi movimenti dei prezzi in una direzione insostenibile, col seguito di contraccolpi nella direzione opposta. L’operatore che controlla una piattaforma digitale di mercato e al tempo stesso vende sullo stesso mercato può impostare l’algoritmo di ricerca per indurre a preferire i propri prodotti e a marginalizzare i concorrenti. Questo è il caso di Google che è stata già condannata dall’autorità europea per questo comportamento. Attualmente sia Google che Amazon sono sotto indagine europea per una nuova manipolazione dello stesso genere.La convergenza di masse di operatori nello stesso indirizzo di mercato può derivare anche dall’impiego diffuso di tecniche di Agentic AI, ovvero di un algoritmo che è addestrato a prendere decisioni autonomamente al verificarsi di determinate condizioni, come nel caso di robot trading nei mercati finanziari. Gli effetti si sono manifestati in bruschi movimenti delle quotazioni, che sbilanciano il mercato e accrescono l’instabilità. Su un altro fronte, effetti di spiazzamento delle attese degli operatori con conseguenti squilibri possono derivare dall’impiego degli algoritmi AI in funzione predittiva delle linee di tendenza negli andamenti economici futuri. Alcuni economisti giungono a considerare l’AI un tipo di “memoria del futuro” che influenzerà l’evoluzione dei comportamenti e delle economie nel futuro. Ma in realtà l’AI non è altro che un metodo di estrapolazione del passato per gettare uno sguardo sul futuro, un metodo più completo ed efficiente di quelli finora seguiti in econometria, ma sempre con punti deboli. In specie, non riesce a predire le discontinuità negli andamenti, né a individuare in anticipo i punti di flessione delle tendenze.Le autorità antitrust dei maggiori paesi sono consapevoli di queste distorsioni e sono già intervenuti in alcuni casi ben noti. Ma non sempre riescono ad individuare questi problemi, né dispongono di tecniche di rilevamento efficaci se non attraverso esami preventivi degli algoritmi e dei dati su cui si sono addestrati. Perfino questi approcci non sono adeguati se gli autori stessi degli algoritmi non sono in grado di spiegare perché i loro algoritmi arrivano a determinate conclusioni. Sul fronte opposto gli esperti cercano di incorporare elementi di contesto e altri metodi per superare queste debolezze.In Italia, l’Autorità di settore, l’Agm, è al corrente della problematica e attraverso un gruppo di lavoro ha approfondito l’analisi ed elaborato il documento a base della discussione sul tema al Vertice del G7 a Roma nell’ottobre dell’anno scorso.In diversi casi è intervenuta con indagini e sanzioni nei confronti di colossi delle piattaforme digitali, quali Google, Amazon, TikTok, e anche verso piattaforme minori. La Strategia Nazionale per l’IA, invece, sfiora appena il tema dei rischi, limitandosi a quello dell’omogenizzazione culturale derivante dall’adozione di algoritmi di derivazione straniera. La risposta migliore ai nuovi problemi posti dalla diffusione dell’AI nelle sue diverse declinazioni non sta nel sovraccaricare il settore di norme, regole e interventi preventivi, che tendono a soffocare l’innovazione nel Paese e si rivelano poco efficaci in un campo in rapida evoluzione e permeabile ai software esteri. Più opportuno sarebbe ricorrere a poche norme generali ed intensificare il monitoraggio dei casi per rilevare le condotte abusive e sanzionarle nei modi applicati dall’Agcm.