Made in Carcere, il libro che racconta come si crea sviluppo sostenibile nei penitenziari

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Esiste un “mondo scomodo”, un antro oscuro scavato nelle nostre coscienze nel quale raramente si ha voglia di affondare lo sguardo, quello dei penitenziari. In questo universo fatto di passati difficili e dolori difficilmente cancellabili che corre parallelo alle nostre vite, lavora una onlus chiamata “Made in Carcere” che prova a creare bellezza. Partendo da materiali di scarto, le sue volontarie insegnano alle ospiti a realizzare manufatti “diversa(mente) utili” come borse e accessori offrendo, scrivono in un bel volume pubblicato da poco Luciana Delle Donne e Micol Ferrara, “una seconda chance a detenute e tessuti”. Il libro si intitola Sprigiona il valore! – Made in Carcere e la rivoluzione del Benessere Interno Lordo, è edito da Franco Angeli e racconta questa esperienza.Il social brand Made in Carcere nasce nel 2007 nella sezione femminile dell’Istituto Penitenziario di Lecce per volere di Luciana Delle Donne – insignita nel 2023 da Sergio Mattarella dell’onorificenza di Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana -, quindi viene esportato nelle strutture di Trani, Bari e Matera dalla cooperativa sociale Officina Creativa. Diciotto anni investiti in progetti di risocializzazione delle detenute, basati su manualità e libertà creativa per raggiungere quello che è e deve essere l’obiettivo della detenzione – il reinserimento nella società – lungo un solco che tende verso il carcere consapevole, una comunità aperta in cui la riabilitazione prende la forma di opportunità educative, formative e lavorative. Con un scopo principale, contrastare la tendenza individuata fin dal 2005 da Zigmunt Bauman: “Chi è respinto una volta è respinto per sempre. Per un ex detenuto scarcerato con la condizionale il ritorno alla società è quasi impossibile e il ritorno in galera è quasi certo (…). In sintesi le carceri, come tante altre istituzioni sociali, sono passate dal compito di riciclare i rifiuti a quello di smaltirli”.Con un doppio avvilente risultato. Le difficili condizioni in cui si vive nelle strutture italiane rendono difficile i processi di rieducazione e risocializzazione, un insuccesso reso palese dai dati relativi al tasso di recidività che in Italia sfiora il 70%. In direzione contraria a questa tendenza vanno i progetti di “Made in Carcere” – che da anni è al centro di interessi d studiosi di diverse discipline -, nei quali i rifiuti solidi vengono riutilizzati per produrre valore e le artefici di questo processo di trasformazione virtuosa sono coloro che, spesso e nella maniera più ingiusta, la società considera i propri materiali di scarto: chi finisce dietro le sbarre.Il libro racconta questo modello di sviluppo sostenibile totalmente diverso dal classico progetto di beneficienza e imperniato su una vera impresa sociale capace di promuovere il “Benessere Interno Lordo” delle sue protagoniste, che ricostruiscono la loro vita e mettono le basi per un futuro lontano dalla cella abbattendo la recidiva grazie al lavoro in un contesto in cui il Bil è strettamente connesso alla creazione di valore: quello delle donne impegnate nella manifattura, del recupero di tessuti scartati e del prodotto finale. Oltre che dell’articolo 27 della Costituzione, che diventa principio di azione, motore immobile di un cambiamento: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.L'articolo Made in Carcere, il libro che racconta come si crea sviluppo sostenibile nei penitenziari proviene da Il Fatto Quotidiano.