Dal metano russo al gas naturale liquefatto made in Usa. Il déjà vu della dipendenza che intrappola l’Europa

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L’Europa voleva (e vuole) liberarsi dalla dipendenza dal gas russo, ma si sta chiudendo in una rete ancora più insidiosa. La trappola del Gas naturale liquefatto (Gnl), che la rende sempre meno indipendente, sempre più ricattabile. Lo mostrano le vicende che hanno portato al ‘Big One’, come ha definito il presidente Usa, Donald Trump, l’accordo commerciale con l’Unione europea. Lo mostrano anche l’accordo siglato da Eni e Venture Global, per la fornitura ventennale di Gnl (concessione fatta dall’Italia al presidente Trump ancora prima dell’accordo europeo) e il fatto che il Qatar minacci di interrompere le forniture di Gnl verso l’Ue se Bruxelles non allenterà i vincoli ambientali contenuti nella nuova direttiva che obbliga le grandi aziende a monitorare l’impatto ambientale e sociale delle proprie catene di fornitura. Una eventuale interruzione da parte del Qatar renderebbe, da un lato, ancora più complicato per l’Unione il rispetto del piano di sanzioni contro il gas russo previsto entro il 2028 e, dall’altro, costituirebbe un precedente rischioso. Perché qualsiasi altro Paese si sentirebbe legittimato a fare la stessa cosa. Tutto questo finora non ha portato grandi vantaggi. Non solo sul fronte ambientale, ma anche politico ed economico. E così poco rassicurano le parole che la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen ha pronunciato dalla Scozia: “Sostituiremo il gas e il petrolio russi con acquisti significativi di Gnl e combustibili nucleari statunitensi”. Anche perché il prezzo del gas rimane sensibilmente superiore rispetto alla media storica e non è più tornato ai valori precedenti l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.Verso una nuova dipendenza dal Gnl – Nel primo trimestre del 2025, per la prima volta, l’Unione europea ha importato più gas naturale liquefatto (Gnl) che attraverso i gasdotti: secondo l’Eurostat, 8,4 milioni contro 8,2 milioni di tonnellate. Nell’accordo gli Stati Uniti hanno ottenuto un impegno da parte dell’Unione europea, vincolata ad acquisti triennali da 750 miliardi di dollari complessivi di combustibili fossili, principalmente gas naturale liquefatto (Gnl) e combustibile nucleare (oltre a 600 miliardi di investimenti Ue negli Usa). Durante il mandato di Trump, dunque, si tratta di 250 miliardi di dollari l’anno. Alla faccia della decarbonizzazione europea. Si tratta, comunque, di un rafforzamento delle politiche già adottate, certamente dall’Italia. Basti pensare che, se nei primi sei mesi dei 2025 il gas liquefatto che l’Italia ha importato è aumentato del 35 per cento, è raddoppiato quello che ha acquistato dagli Stati Uniti nostro principale fornitore con una quota 45% (dal 2024 primo esportatore mondiale), seguito da Qatar (25,8%) e Algeria (18,5%). Secondo l’amministratore delegato di Edison, Nicola Monti, se oggi il gnl è più costoso rispetto al gas che arriva via tubo “i prezzi rallenteranno quando aumenterà l’offerta”. Bisogna capire se e di quanto rallenteranno, dato che il processo di produzione (estrazione e liquefazione), trasporto via nave e successiva rigassificazione è piuttosto complesso, tanto da almeno raddoppiare i costi rispetto al metano che arrivava dalla Russia ma, in alcuni casi, anche a quintuplicarlo.Quanto costerà il gas americano – Di contro, c’è il prezzo del gas americano, certamente più basso rispetto a quello europeo. E questo è dovuto principalmente alla sovrapproduzione Usa. Si tratta di circa 10 euro per Mwh, mentre sul mercato Ttf di Amsterdam, quello di riferimento, il prezzo è a poco più di 32 euro. Secondo Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia “anche tenendo conto dei costi aggiuntivi per liquefare il gas, trasportarlo e rigassificarlo, il costo finale sarebbe di 15-17 euro, largamente inferiore a quello europeo” (Leggi l’approfondimento). Quanto costerà all’Italia? Comunque di più di quanto costava quello russo. Ad oggi non è possibile sapere di più sul futuro neppure facendo riferimento al contratto, annunciato il 16 luglio scorso, firmato da Eni con Venture Global e che impegna il colosso italiano a comprare, dal 2030, due milioni di tonnellate l’anno di gas naturale liquefatto dagli Stati Uniti. Per vent’anni, a partire dalla Fase 1 del progetto di liquefazione CP2 LNG, con consegne dalla fine del decennio. L’impianto di Venture Global avrà una capacità massima di produzione di 28 Mtpa (milioni di tonnellate all’anno) ed è attualmente in fase di sviluppo presso Cameron Parish, in Louisiana. Nello Stato che, come ha raccontato un’inchiesta di ReCommon, è stato dato in sacrificio in nome della produzione di Gnl, insieme alle comunità che vivono vicino agli impianti di estrazione e trasformazione.Accordi sul gas, ma la domanda globale è in calo – Per Eni si tratta della prima fornitura a lungo termine di Gnl dagli Usa e appare in controtendenza rispetto ai dati sulla domanda di gas in Europa. Secondo la recente analisi del think tank energetico globale Ember, sulla base dei piani energetici nazionali di Paesi Ue, nel continente la domanda di gas (già calata del 19% tra il 2021 e il 2023) è destinata a scendere ancora, da 326 miliardi di metri cubi del 2023 a 302 miliardi di metri cubi nel 2030, con un’ulteriore diminuzione del 7% (per l’Italia del 15%). Secondo Ana Maria Jaller-Makarewicz, analista dell’Istituto per l’Economia energetica e l’analisi finanziaria “l’eccessiva dipendenza da un unico fornitore di gas è un déjà vu. Il Gnl statunitense – continua – ha rappresentato il 55% delle importazioni di Gnl dell’Ue e il 27% delle importazioni totali di gas dell’Ue nella prima metà del 2025”. Ma l’aumento delle importazioni di Gnl statunitense, come stabilito dall’accordo, non sarebbe solo un rischio per la sicurezza energetica, ma anche “un obiettivo irrealistico”. Il Gnl “già oggi combustibile poco competitivo rispetto all’energia rinnovabile, lo sarà ancora di più alla fine degli anni venti”, ossia quando il Gnl di Venture Global sarà commercializzato, dato che la domanda europea di gas continuerà a diminuire. “Eni e le altre società europee che cercano accordi simili per il Gnl a lungo termine – spiega – potrebbero avere difficoltà a trovare acquirenti in Europa, mentre il gas diventa una merce a basso prezzo”. Eppure anche Eni ha seguito la scia del Governo Meloni (e della Commissione europea) con l’obiettivo di compiacere Trump. “L’eccessiva dipendenza da un unico fornitore di gas è un déjà vu. Il Gnl statunitense – continua – ha rappresentato il 55% delle importazioni di Gnl dell’Ue e il 27% delle importazioni totali di gas dell’Ue nella prima metà del 2025. L’aumento delle importazioni di Gnl statunitense, come stabilito dall’accordo, non rappresenta solo un rischio per la sicurezza energetica, ma anche un obiettivo irrealistico”.Europa sempre più esposta – Si scrive diversificazione, si legge nuove dipendenze e, soprattutto, nuovi ricatti. Come quello attuato dal Qatar che in questi giorni ha minacciato di interrompere le forniture di Gnl verso l’Ue se Bruxelles non allenterà i vincoli ambientali contenuti nella nuova direttiva sulla due diligence aziendale (Csddd). In assenza di modifiche sostanziali alla norma, Doha e QatarEnergy potrebbero “valutare seriamente mercati alternativi al di fuori dell’Ue, più stabili e favorevoli alle imprese”. Mai sia. La Commissione Ue si è così affrettata a ricordare che a febbraio è stata già proposta una proroga di un anno per l’entrata in vigore della direttiva, con emendamenti attualmente in fase di recepimento. Di più aveva fatto a maggio, al suo esordio a Bruxelles, il cancelliere tedesco, Friedrich Merz. “Il rinvio è solo un primo passo – aveva chiarito – l’abrogazione di alcune direttive è il passo logico successivo”. Il Qatar, d’altronde, è terzo esportatore mondiale di Gnl dopo Stati Uniti e Australia, ha garantito tra il 12% e il 14% delle importazioni europee di gas liquefatto dall’inizio della guerra in Ucraina e l’Ue non può permettersi certo di farlo scappare.Dimenticato pure l’allarme dell‘Agenzia Internazionale per l’Energia – La produzione di Gnl va di pari pass con la realizzazione dei rigassificatori. Entrambi i trend, però, non tengono neppure conto dell’allarme lanciato a fine 2024 dall‘Agenzia Internazionale per l’Energia, secondo cui i mercati globali del Gnl si stanno dirigendo verso un eccesso di offerta di gas, incompatibile con l’obiettivo di impedire che le temperature globali aumentino di oltre 2,4 °C rispetto ai livelli preindustriali. Incompatibile anche a causa di un’impronta di carbonio che non è inferiore a quella delle fonti fossili più inquinanti. Robert W. Howarth, professore alla Cornell University noto per il suo lavoro sui gas serra legati al metano, ha effettuat un’analisi dl cicl di vita completo (Life Cycle Assessment) sulle emissioni del Gnl esportato dagli Stati Uniti e ha scoperto che, se si tengono in considerazione tutte le fasi, dall’estrazione e liquefazione, fino al trasporto e alla combustione finale, il Gnl ha un’impronta di gas serra superiore del 33% rispetto al carbone su un arco di 20 anni.L'articolo Dal metano russo al gas naturale liquefatto made in Usa. Il déjà vu della dipendenza che intrappola l’Europa proviene da Il Fatto Quotidiano.