di Giuseppe Gagliano –Gli Stati Uniti e la Cina hanno deciso di estendere la tregua sui dazi oltre il 12 agosto, ma la sensazione è che si tratti di un accordo precario, più tattico che strategico. Dopo due giorni di colloqui a Stoccolma, definiti “costruttivi” da entrambe le parti, non sono stati annunciati veri progressi strutturali. La decisione finale spetta al presidente Donald Trump, il quale continua a usare i dazi come arma di pressione politica e strumento di consenso interno.La proroga di 90 giorni, se confermata, servirebbe ad allentare momentaneamente la tensione, ma non cambierebbe la sostanza di una rivalità che ormai travalica il commercio per abbracciare l’intero spettro della competizione tecnologica, finanziaria e militare.Gli Stati Uniti puntano a ricostruire la propria capacità manifatturiera, riducendo la dipendenza dalle importazioni cinesi e assicurandosi forniture energetiche e agricole a vantaggio dell’economia interna. Washington chiede un riequilibrio della bilancia commerciale, mentre cerca di limitare l’accesso della Cina a tecnologie strategiche, come i chip avanzati per l’intelligenza artificiale. Non è un caso che la recente decisione di revocare alcune restrizioni sui chip Nvidia H20 abbia scatenato dure critiche negli ambienti conservatori americani, che temono un indebolimento del vantaggio tecnologico statunitense.Pechino dal canto suo mira a consolidare le proprie catene di approvvigionamento e a garantire sbocchi per la sua produzione industriale, che viaggia a ritmi superiori alla domanda globale. La riduzione dei dazi è vitale per mantenere la competitività delle esportazioni cinesi, soprattutto in un contesto di rallentamento interno e di tensioni finanziarie.Trump ha chiarito che, senza un accordo soddisfacente, i dazi potrebbero tornare a livelli elevatissimi, fino all’80% medio o oltre, con un impatto devastante per entrambe le economie. Ma la guerra commerciale non è solo questione di numeri: è un braccio di ferro simbolico, che riflette la sfida per la leadership globale. Gli Stati Uniti accusano la Cina di aggirare sanzioni e di sostenere indirettamente la Russia attraverso tecnologie dual use, mentre Pechino risponde rivendicando un sistema commerciale più equilibrato e la fine delle restrizioni unilaterali.La partita tra USA e Cina si gioca anche sul terreno geopolitico. Washington cerca di isolare Pechino nelle rotte energetiche, avvertendo che imporrà tariffe secondarie fino al 100% ai Paesi che continuano a comprare petrolio russo. Un messaggio diretto non solo a Pechino, ma anche a chi tenta di sfidare l’egemonia del dollaro. Per la Cina, invece, la tregua sui dazi è una finestra di respiro che le permette di rafforzare il proprio peso nel Sud globale e nei mercati emergenti, con un occhio all’energia e alle nuove infrastrutture strategiche.Trump ha lasciato intendere che potrebbe incontrare Xi Jinping entro fine anno, ma la tempistica resta incerta. Un vertice diretto potrebbe servire a congelare temporaneamente le tensioni, senza tuttavia rimuovere le cause profonde della rivalità. Ogni concessione appare tattica, un modo per guadagnare tempo in vista delle elezioni e dei nuovi equilibri globali.L’accordo di Stoccolma non segna una svolta, ma un armistizio provvisorio. La competizione tra USA e Cina è destinata a rimanere il fulcro del nuovo ordine mondiale, condizionando catene di approvvigionamento, investimenti e stabilità finanziaria globale. La guerra commerciale è ormai una guerra sistemica, in cui ogni tregua serve solo a riposizionare le pedine sulla scacchiera globale.