La base dell’accordo tra Donald Trump e Ursula von der Leyen sui dazi ai prodotti europei è stata definita: tariffe ridimensionate in cambio di petrolio e armi made in Usa. Ed è partito il solito coro: colpa della Commissione, anzi della sua presidente. Ursula come parafulmine di un’Europa debole. Ma il capro espiatorio serve solo a coprire responsabilità ben più gravi: quelle dei governi nazionali e di gran parte delle forze politiche, Italia in testa, incapaci e soprattutto non intenzionati a compiere il passo decisivo verso uno Stato federale.Il motivo è chiaro: cedere sovranità significherebbe rinunciare a pezzi di potere personale. Meglio restare prigionieri di un’Unione zoppa, esposta a ogni ricatto, che rischiare di costruire un’Europa vera, temuta e rispettata. Questa miopia non è neutrale: giova a chi ci vuole divisi. Non solo Russia e Cina, che beneficiano di un’Europa incapace di giocare da grande potenza. Ora anche gli Stati Uniti di Trump, pronti a usare dazi e accordi bilaterali come clave, sanno che con un’Europa federale il ricatto non funzionerebbe. L’intesa con Washington non è un incidente: è il frutto di decenni di “non-decisioni” accumulate per compiacere interessi nazionali e potenze esterne. Restando immobili, ci attendono scenari ancora peggiori. Si rinuncia volutamente a un dibattito vero, risolutivo, sulla natura dell’Unione.Immaginiamo invece cosa sarebbe un’Europa federale: il più grande mercato del pianeta che si muove con una sola voce, capace di imporre regole commerciali e negoziare con Usa e Cina da pari, non da vassallo. Una politica energetica integrata, che sfrutta in comune gas, idrogeno, terre rare e investe davvero in rinnovabili e nucleare. Un esercito europeo che sostituisce l’attuale patchwork di forze inadeguate, garantendo sicurezza senza mendicare protezione. Un bilancio federale capace di finanziare grandi progetti industriali e di ricerca, competendo con la Silicon Valley e i colossi asiatici. Sovranità digitale, infrastrutture intermodali, università d’eccellenza, Intelligenza Artificiale sviluppata qui e non subappaltata altrove.Questa sarebbe l’Europa che serve.Invece preferiamo restare prigionieri di un ambientalismo da slogan, sopportare porti e aeroporti che non dialogano, autostrade congestionate e una burocrazia che uccide innovazione e competitività, aprendo varchi ai nostri nemici. Nel frattempo, distribuiamo sussidi per coprire la nostra incapacità di crescere: un nodo scorsoio che ci strangolerà. La verità è che un’Europa che non osa diventare federale non sopravvive: resta un gigante economico con i piedi d’argilla, esposto a ogni ricatto. E allora sì, continueremo a dare la colpa a Bruxelles, mentre il resto del mondo, e ora anche gli Usa di Trump, detta le regole del nostro destino.