Vi racconto il primo Giubileo dei missionari digitali e degli influencer cattolici. Parla Palmieri

Wait 5 sec.

“Quest’anno la Chiesa ha fatto una scelta consapevole e anche coraggiosa. Una scelta che è l’esito di un cammino iniziato due anni fa”, spiega Antonio Palmieri a Formiche.net parlando del Giubileo dei missionari digitali e degli influencer cattolici che si è tenuto gli scorsi giorni. Non una strategia calata dall’alto, spiega il presidente della Fondazione Pensiero Libero, ma “il riconoscimento di un’attività nata spontaneamente: migliaia di persone, giovani e adulti, donne e uomini, laici e religiosi, da molti anni avevano iniziato a comunicare il Vangelo in rete per conto proprio”.Presidente Palmieri, che cosa possiamo dire a proposito del primo Giubileo dei missionari digitali e degli influencer cattolici, che si è svolto a Roma il 28 e 29 luglio?C’è chi sorriderà, chi si incuriosirà, chi alzerà le spalle… Qualunque sia la reazione, oltre mille tra ragazzi, ragazze, giovani, adulti, e naturalmente preti, frati e suore hanno vissuto due giorni intensi di lavoro, preghiera e festa, benedetti dal Papa. Niente male per questo primo Giubileo dei missionari digitali e degli influencer cattolici. Un Giubileo, peraltro, che poteva anche non esserci…In che senso?Mentre è evidente che nel 2000 un Giubileo di questo tipo sarebbe stato impossibile, perché a quel tempo non eravamo ancora entrati pienamente nell’era digitale, quest’anno la Chiesa ha comunque fatto una scelta consapevole e anche coraggiosa. Una scelta che è l’esito di un cammino iniziato due anni fa…Due anni fa cosa è successo?Grazie a una intuizione di monsignor Lucio Ruiz, segretario del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, ci fu il primo Festival degli influencer cattolici, in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona 2023. Lì è iniziato il percorso che ha portato a questo Giubileo…Quindi si tratta di un progetto nato dall’alto?Non si tratta di una strategia studiata a tavolino. Al contrario, è il riconoscimento di un’attività nata spontaneamente: migliaia di persone, giovani e adulti, donne e uomini, laici e religiosi, da molti anni avevano iniziato a comunicare il Vangelo in rete per conto proprio. Questo movimento dal basso ha trovato attenzione grazie a monsignor Ruiz e così la Chiesa ha iniziato a valorizzare questi testimoni digitali, creando un percorso globale, chiamato “La Chiesa ti ascolta”.Cosa significa, esattamente, “La Chiesa ti ascolta”?È un messaggio semplice, ma potentissimo. Da un lato, esprime il riconoscimento e la gratitudine verso chi si impegna online per comunicare la fede, riconoscendone l’importanza e accompagnandoli con ascolto e formazione. Dall’altro, indica il primo compito dei missionari digitali: praticare un ascolto autentico, grazie agli strumenti digitali, per tutte le persone che sono alla ricerca di senso, di attenzione, di speranza. È una forma di vicinanza e che parte dall’online per arrivare al cuore.Una delle frasi chiave che sono circolate a questo Giubileo in questi giorni è “digitale è reale”. Cosa significa?Significa superare una vecchia dicotomia, che ancora resiste in diversi ambiti. Monsignor Ruiz lo ha detto molto chiaramente: “La Chiesa sta dove sta l’uomo. Il digitale non è più virtuale, ma assolutamente reale.” La vita umana si svolge anche – e sempre di più – negli ambienti digitali. Per questo, evangelizzare oggi significa raggiungere le persone anche lì, per portare loro la speranza di Dio. È un cambiamento culturale profondo, che alcuni ancora faticano ad accettare.In che modo i missionari digitali abitano la rete in modo diverso?In un tempo in cui i media ci mostrano solamente una rete dominata dalla polarizzazione, dalla contrapposizione violenta, i missionari digitali offrono un’alternativa. La loro è una presenza che non urla, ma ascolta. Non divide, ma dialoga. Testimoniano che i social possono essere luoghi di incontro, di accompagnamento, di costruzione di relazioni vere.Lei ha detto che l’azione dei missionari digitali ha una dimensione ibrida. Che cosa intende?Dico che questa è un’azione ibrida perché molto spesso, il contatto online genera un incontro fuori dalla rete. Vale per i religiosi ma anche per i laici: pensiamo, ad esempio, ai concerti delle band cattoliche come The Sun. Il digitale diventa il ponte per un incontro concreto, umano, vis-à-vis. È un movimento centrifugo, che parte dal web e arriva alle persone, nelle loro vite reali.Lei ha parlato di una presenza invisibile alla comunicazione mainstream. Può spiegarci meglio?I missionari digitali sono come sommergibili: operano fuori dai radar della comunicazione dominante, ma non per questo sono meno presenti o incisivi. Navigano in quel mare nascosto che è fatto di persone in cerca di senso, di verità, di relazione. Sottovalutarli sarebbe un errore. E lo dico non solo da credente, ma soprattutto da comunicatore.Per chiudere con una battuta che evoca il nome della sua Fondazione. Questi missionari digitali sono portatori di un pensiero solido?Lo sono.