AGI - La mafia aveva individuato in loro un nemico pericolosissimo. Beppe Montana, Antonino Cassarà, Roberto Antiochia stavano facendo sempre più luce su affari e strategie dei clan. Per questo, in quell'estate del 1985, nel giro di poche settimane furono uccisi poliziotti formidabili, capaci di fare tremare i boss del tempo. Qualche anno prima stessa sorte era toccata a un altro collega straordinario, Boris Giuliano.L'agguato a Beppe MontanaIl commissario della polizia di Stato, Giuseppe Montana, è stato ucciso 40 anni fa in un agguato: era il 28 luglio 1985. Alle 11.30 l'omaggio nell'omonima piazza nel lungomare del borgo marinaro, dove è stato ammazzato. A seguire la deposizione di una corona d'alloro alla Squadra mobile, nel capoluogo siciliano. Il capo della Catturandi di Palermo fu ucciso da colpi di arma da fuoco mentre, con la fidanzata, era al molo Porticello. Aveva solo 34 anni, "credeva - ricorda la polizia di Stato - nella legalità, nel futuro delle nuove generazioni tanto da andare spesso nelle scuole a raccontare ai ragazzi storie di uomini coraggiosi che in Sicilia avevano tentato di sfidare la mafia, storie di uomini come lui".Il sacrificio di un poliziottoBeppe Montana è stato uno di quei poliziotti che, con le proprie azioni, ha segnato un periodo storico per il Paese, arrestando numerosi esponenti della mafia e pagando il suo impegno con il prezzo della vita. Il poliziotto che "catturava" i latitanti fu colto da Cosa nostra in uno dei rari momenti che dedicava allo svago e a sé stesso: una domenica pomeriggio, di ritorno da una gita in barca con amici e parenti, sul molo di Ponticello, a 15 chilometri da Palermo, Giuseppe, "Beppe" per tutti, fu freddato dai proiettili di due pistole, una calibro 38 e una calibro 357 sparati alla schiena. Il commissario venne ucciso per i risultati che aveva conseguito e per l'insidia che rappresentava per le cosche; solo tre giorni prima la sua squadra aveva arrestato otto affiliati al clan Greco.La tragica estate del 1985Il 6 agosto di quel 1985 era stata la volta del vice questore aggiunto Cassarà e dell'agente Roberto Antiochia che condivisero parte della loro vita professionale raggiungendo importanti successi nella lotta alla criminalità organizzata. Insieme trovarono anche la morte in viale Croce Rossa, quando furono colpiti da raffiche di colpi di kalashnikov a pochi passi dall'abitazione del funzionario di polizia, a opera di un gruppo di nove uomini appostati nei piani del palazzo di fronte. Antonino Cassarà a Palermo ha rivestito, dal 3 maggio 1980, l'incarico di vice dirigente della Squadra mobile e ha svolto delicate indagini sulle cosche mafiose. Ha partecipato a numerose operazioni di polizia giudiziaria assicurando alla giustizia alcuni tra i più pericolosi esponenti di Cosa nostra. Il funzionario ha rappresentato un naturale e abituale interlocutore per i magistrati impegnati sul fronte dell'antimafia collaborando anche con il giudice Giovanni Falcone e del pool antimafia della procura. A lui si deve in particolare il cosiddetto "Rapporto dei 162" che costituì la prima pietra su cui fu costruito il Maxiprocesso dell'86.Il destino di Roberto AntiochiaA segnare il destino del giovane Antiochia fu, invece, l'omicidio avvenuto pochi giorni prima del dirigente della Squadra Catturandi Giuseppe Montana. Roberto aveva lavorato con il dottor Montana dal 1983 al 1985 in delicate indagini su Cosa nostra e, nonostante fosse stato assegnato pochi giorni prima a Roma, si trovava a Palermo per partecipare ai funerali. Arrivato in città Roberto, però, decise di rimanere a causa dell'atmosfera terribile che si respirava in questura e per il forte legame di amicizia e il senso del dovere nei confronti dei suoi amici e colleghi. Anche se ufficialmente in ferie, infatti, lavorava alle indagini sulla morte del suo ex capo e faceva la scorta a coloro che erano più minacciati: tra questi proprio il vice capo della Squadra mobile Antonino Cassarà.L'omicidio di Boris GiulianoSette colpi di pistola sparati alle spalle, vigliaccamente, a tradimento, come solo i mafiosi - che ne temevano la reazione di infallibile tiratore - sanno fare: fu così che la mattina del 21 luglio 1979, in via Francesco Paolo Di Blasi, il corleonese Leoluca Bagarella assassinò il capo della Squadra mobile di Palermo Boris Giuliano, uno dei principali avversari della mafia siciliana. Ancora oggi Giuliano viene considerato un precursore delle moderne tecniche investigative, che affiancano, agli arresti, i sequestri dei patrimoni accumulati illecitamente dalla criminalità organizzata.