di Giuseppe Gagliano – Turnberry, Scozia. Un campo da golf, la bandiera a stelle e strisce che ondeggia sul verde smeraldo, e il sorriso compiaciuto del tycoon tornato presidente. È qui che Donald Trump ha accolto Ursula von der Leyen per un vertice destinato a evitare lo scontro frontale tra Washington e Bruxelles. Ma più che un incontro istituzionale, il summit scozzese è sembrato un palco teatrale per la diplomazia del “make a deal”, dove l’Europa ha negoziato con il coltello puntato alla gola e Trump ha colto l’occasione per rilanciare la sua narrativa identitaria: commercio muscolare, frontiere chiuse e attacco all’ideologia green.L’accordo raggiunto ha il sapore amaro di una resa controllata. Niente dazi al 30% su tutte le merci europee, come minacciato, ma una tariffa base del 15% che colpisce comunque settori vitali come quello automobilistico, alimentare e tessile. Salvi acciaio e alluminio? Al contrario: restano al 50%. E se il comparto farmaceutico sperava in una tregua, Trump ha chiuso la porta: “I nostri medicinali devono essere prodotti in patria”, ha dichiarato.In cambio l’Europa acquista gnl americano per 750 miliardi di dollari in tre anni, promette investimenti negli Stati Uniti per 600 miliardi e si apre a una maggiore importazione di beni a stelle e strisce a dazio zero in alcune categorie. Un pacchetto da campagna elettorale, cucito su misura per il presidente americano, che può tornare a Washington dicendo di aver “riequilibrato” gli scambi. Ma per le imprese europee – in particolare quelle italiane – si prospettano tempi duri: secondo stime interne, il solo export italiano potrebbe perdere fino a 10 miliardi di euro.La presidente della Commissione ha fatto buon viso a cattivo gioco. Incalzata dalle minacce di Trump, ha evitato la rottura e ottenuto una de-escalation che evita il peggio. Ma non ha conquistato una vittoria politica. L’intesa, infatti, non è ancora ratificata dai 27 governi membri, molti dei quali già preoccupati per l’impatto settoriale e l’assenza di contromisure europee. Von der Leyen, pur rivendicando il risultato, è apparsa isolata, costretta a rinunciare a punti strategici come la protezione dei farmaci europei e la neutralità nei confronti delle forniture energetiche. La Commissione promette ora nuovi accordi globali – Mercosur in primis – per riequilibrare le dipendenze. Ma il messaggio che passa è chiaro: l’UE cede terreno.Se l’accordo commerciale ha tenuto i riflettori accesi, le vere scintille sono arrivate con le dichiarazioni “fuori verbale” del presidente americano. Due i bersagli: immigrazione e transizione energetica.“I migranti stanno uccidendo l’Europa”, ha tuonato Trump davanti ai giornalisti. Un’affermazione che non lascia spazio all’interpretazione, intrisa di retorica da “grande sostituzione”, ma calibrata per fare breccia in un’Europa divisa e impaurita. Non ha fatto nomi, ma ha elogiato i leader “coraggiosi” che stanno fermando “l’invasione”. Parole che risuonano a Roma e Budapest, ma che imbarazzano Berlino e Bruxelles. La Commissione, nel gelo diplomatico, ha scelto il silenzio.Poi è toccato alle “éolienne”: brutte, inutili, dannose. Trump ha attaccato l’energia eolica definendola un “inganno” che deturpa i paesaggi europei e stermina gli uccelli. Una crociata già vista, coerente con la sua visione di sviluppo legata ai combustibili fossili e ostile alla transizione verde. In Scozia, dove l’energia eolica è un orgoglio nazionale, le sue parole hanno sollevato proteste, ma anche consensi trasversali nei settori europei più scettici verso la “green economy”.Dietro l’estetica dello show, il vertice di Turnberry ha svelato un’America che torna a imporre, più che a negoziare. L’alleanza atlantica sopravvive, ma in una forma nuova: sbilanciata, transazionale, imperniata sulla forza economica e strategica degli Stati Uniti. L’Europa, fragile e divisa, si scopre dipendente: dal GNL americano per l’energia, dalla protezione militare USA nel quadro NATO, e ora anche da nuovi accordi commerciali che spostano l’ago della bilancia verso Washington.Trump lo sa e lo sfrutta. Il vertice non è stato solo diplomazia, ma un atto di potere comunicativo. Ha imposto l’agenda, dettato i tempi, scelto i simboli. E ha trasformato un momento di confronto in una vetrina elettorale, dove ogni parola, dai dazi alle turbine, aveva un pubblico preciso, dentro e fuori l’America.L’accordo tra Trump e von der Leyen ha evitato una guerra commerciale, ma ha consegnato all’Europa uno scenario inquieto. Le tensioni sui dazi non sono affatto risolte, le questioni ambientali e migratorie sono diventate strumenti di pressione geopolitica. E l’UE, che aspirava a diventare attore globale autonomo, si ritrova a rincorrere gli eventi, esposta al ritorno di un’America muscolare e imprevedibile.Turnberry non ha chiuso un dossier. Lo ha solo rinviato. E intanto, tra un colpo di driver e una stretta di mano, Trump ha rimesso il mondo davanti alla sua visione: identitaria, unilaterale, assertiva. Con l’Europa nel ruolo scomodo di comprimaria.