Doveva essere il giorno X. Oggi, primo agosto, sarebbero dovuti entrare in vigore i nuovi dazi del 15%, fra cui quelli sul farmaceutico, concordati con l’Unione europea, ma l’avvio delle misure è stato rimandato al 7 agosto per motivi tecnici. Lo hanno spiegato fonti dell’Amministrazione statunitense, sottolineando come il rinvio miri a concedere più tempo per adeguarsi all’attuazione delle nuove regole commerciali. Intanto, nella notte, lettere ufficiali sono state inviate a 17 big farmaceutiche – Abbvie, Boehringer Ingelheim, BMS, Novartis, Gilead, Emd Serono, Pfizer, Novo Nordisk, Astrazeneca, Amgen, Genentech, Johnson & Johnson, Gsk, Merck, Regeneron, Sanofi e Eli Lilly – per chiedere un impegno vincolante a praticare negli Stati Uniti prezzi allineati a quelli delle “nazioni più favorite” (most favoured nations), almeno per i pazienti coperti dal programma pubblico Medicaid. Le aziende avranno tempo fino al 29 settembre per rispondere. Si tratta dell’ultima mossa di Donald Trump, che già a maggio aveva firmato un ordine esecutivo per forzare l’allineamento dei prezzi dei farmaci con quelli più bassi praticati a livello internazionale. L’iniziativa si inserisce in una strategia più ampia per ridurre i costi, rispondere a un’opinione pubblica sempre più attenta al prezzo dei medicinali e rafforzare la manifattura interna al Paese. “Non fatevi illusioni: uno sforzo collaborativo per raggiungere una parità globale dei prezzi sarebbe la via più efficace per le aziende, il governo e i pazienti americani. Ma se vi rifiuterete di fare la vostra parte, utilizzeremo ogni strumento a nostra disposizione per proteggere le famiglie americane dalle continue pratiche abusive nel fissare il prezzo dei farmaci”, ha scritto il presidente nelle lettere condivise sul social Truth.L’EFFETTO SULLE BORSELa reazione dei mercati non si è fatta attendere: i titoli delle farmaceutiche europee sono scesi nella giornata di venerdì, con perdite comprese tra l’1% e il 4% in apertura. Particolarmente colpita Novo Nordisk, che ha proseguito il trend negativo avviato martedì, dopo un profit warning e la nomina del nuovo vertice, registrando un calo settimanale del 28% e una perdita di capitalizzazione pari a 70 miliardi di dollari.I MIDDLEMENMa dietro la negoziazione fra l’amministrazione Usa e le aziende farmaceutiche c’è anche un elemento meno noto, ma cruciale nel dibattito sui prezzi: il ruolo dei cosiddetti middlemen. Secondo un’analisi condotta dal Berkeley research group, diffusa da PhRma (l’associazione di categoria statunitense) a inizio anno, la metà della spesa per farmaci da prescrizione negli Stati Uniti non va ai produttori, bensì a soggetti che non sviluppano né fabbricano medicinali – come pharmacy benefit managers (Pbms), grossisti, assicurazioni, farmacie e group purchasing organizations (Gpos).UNA TASSA OCCULTANel 2023, questi intermediari hanno trattenuto 170 miliardi di dollari sotto forma di sconti, rimborsi e commissioni. Il dato rappresenta circa il 25% della spesa complessiva per farmaci di marca, ma in alcuni casi può superare l’80%. Ancora più preoccupante, secondo il report, è che alcune categorie – come i fornitori 340B e le società a scopo di lucro – incassano oggi 18 volte di più rispetto a dieci anni fa. Con un impatto diretto su pazienti, contribuenti e datori di lavoro, che si trovano a fronteggiare una tassa occulta incorporata nei costi. A gennaio, la Federal trade commission aveva rilevato che i tre principali pharmacy benefit managers statunitensi hanno applicato rincari significativi su alcuni farmaci essenziali – tra cui quelli per cardiopatie, cancro e Hiv – presso le farmacie a loro affiliate, sollevando ulteriori interrogativi sul reale impatto di questi intermediari sui costi per i pazienti. Nel frattempo, Roche la scorsa settimana ha affermato che starebbe valutando la vendita diretta dei propri farmaci ai consumatori americani per bypassare parte della filiera e abbattere i prezzi.La nuova strategia di Trump rischia, dunque, di ridisegnare non solo i rapporti transatlantici nel settore farmaceutico, ma anche gli equilibri interni di un mercato complesso, in cui i produttori sono ben lungi da essere gli unici a influenzare i prezzi finali.