di Fiore IsabellaNei giorni scorsi, nel mio ospedale a Lamezia Terme – ma la cosa non è di sua esclusiva attitudine linguistica – mi sono imbattuto nell’espressione “front office” ricadente negli innumerevoli inglesismi (handover, briefing, setting, round medico, bedmanager, visual hospital, day, week surgery, discharge room, check list, audit, chronic care model, fast track) che hanno invaso la patria di Dante Alighieri e poi di Alessandro Manzoni che si limitava a parlare di risciacquo in Arno dei poveri cenci. Ma oggi non si tratta di un adeguamento semantico dei Promessi Sposi a beneficio delle persone colte ma di rendere comprensivo un linguaggio che ha a che fare con un settore della vita dei cittadini (la salute) ai quali l’assenza di chiarezza e disponibilità comunicativa porta solo danno e non certo giovamento. Il termine “front office”, proferito nel centro unico di prenotazione dell’Ospedale di Lamezia con perentoria solennità per significare che quell’ufficio non è abilitato a ricevere comunicazioni telefoniche dall’utenza, mi ha indotto a porre all’ufficio un interrogativo banalmente elementare. “Per prenotare una visita di controllo nefrologico a chi bisogna rivolgersi?”. La risposta è stata perentoria come una sentenza inappellabile della Suprema Corte di Cassazione: “Spetta al reparto di Nefrologia”.Mi sposto di un piano e pongo la stessa domanda ad un medico che ovviamente, e senza tentennamenti, mi risponde “Spetta al CUP”, in quanto noi siamo medici e non amministrativi; un tipico caso di non univocità burocratico-comportamentale rispetto ad una stessa istanza da parte di due uffici della stessa struttura di servizio, come se le stesse regole mutassero a seconda delle porte in cui ci si infila. E allora gli inciampi in cui si imbatte la comunicazione, ahimè nei luoghi di cura che dovrebbero essere sacri, non credo siano totalmente addebitabili agli “inglesismi”, diventati un mantra in occasione della pandemia (termoscanner, lockdown, smart working, etc), ma a qualcosa che ha a che fare col “gattopardismo” di un potere in cui anche gli inglesismi fotografano la strategia del cambiamento apparente: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.Una cosa, però, che ancora fa fatica a cambiare, e che mantiene quasi intatta la sua fisionomia antropologica, è il voler trasformare il cittadino in un docile suddito. E ad operare in tal senso sono le stesse istituzioni che faticano a scendere dal loro piedistallo e, invece di rispondere alle istanze di chi non ha voce neanche per imprecare, si trasformano in ostacoli ingombranti, per non dire inquietanti. Salvo quella corsia privilegiata per coloro che le porte le trovano sempre aperte, al limite socchiuse o, quantomeno, non sbarrate.Il mondo, diceva qualcuno, è diviso in chi può e in chi non può! E per chi può non si alzano le bandiere delle distinzioni funzionali; per chi non può, perché non ha voce, tutte le precisazioni sono un calcio nel fondo schiena della sofferenza: I don’t care!Il blog Sostenitore ospita i post scritti dai lettori che hanno deciso di contribuire alla crescita de ilfattoquotidiano.it, sottoscrivendo l’offerta Sostenitore e diventando così parte attiva della nostra community. Tra i post inviati, Peter Gomez e la redazione selezioneranno e pubblicheranno quelli più interessanti. Questo blog nasce da un’idea dei lettori, continuate a renderlo il vostro spazio. Diventare Sostenitore significa anche metterci la faccia, la firma o l’impegno: aderisci alle nostre campagne, pensate perché tu abbia un ruolo attivo! Se vuoi partecipare, al prezzo di “un cappuccino alla settimana” potrai anche seguire in diretta streaming la riunione di redazione del giovedì – mandandoci in tempo reale suggerimenti, notizie e idee – e accedere al Forum riservato dove discutere e interagire con la redazione. Scopri tutti i vantaggi!L'articolo “Chieda al Cup”, “Chieda al reparto”… la sanità è un inciampo continuo. E gli inglesismi non aiutano proviene da Il Fatto Quotidiano.