Pur avendo imboccato strade molto diverse, a partire dal Seicento, il teatro e la danza non hanno mai smesso di dialogare.Basti pensare ai vari generi che proliferano fra Sette e Ottocento a testimonianza dell’esigenza di reintegrare nella danza le istanze drammatiche espunte progressivamente dalla codificazione accademica: dal ballet d’action, di Noverre e Angiolini, al coreodramma di Viganò, giù giù fino a Fokine e ai Ballets Russes di Diaghilev e Nijinskij.Ma tra Otto e Novecento accade qualcosa di profondamente nuovo. Teatro e danza tornano a incontrarsi durante e in conseguenza del rivoluzionamento di cui entrambi sono oggetto in quel periodo: la rivoluzione della regia, da un lato, e quella della danza moderna, dall’altro.Non dimentichiamo che alle origini della danza moderna c’è innanzitutto il teatro. Per fare un solo esempio, sono ben noti gli interessi teatrali del giovane Rudolf Laban, forse il più importante fra i padri della rivoluzione coreica del secolo scorso, e, in particolare, l’influenza esercitata su di lui da Georg Fuchs, uno dei massimi esponenti del rinnovamento teatrale all’epoca.Non deve sorprendere questo fatto. In conseguenza della radicale tabula rasa attuata (affrancandosi dalle convenzioni del balletto accademico), la danza si trova alle prese con gli stessi elementi primari e con gli stessi temi di ricerca con i quali arriva a confrontarsi il mondo teatrale, quando prende coscienza, per dirla con il regista Jacques Copeau, che è quello corporeo il problema primario dell’attore e dunque del teatro.Non a caso sono in tanti, in quegli anni, a individuare proprio nella danza l’essenza del fatto drammatico. Ad esempio, il già citato Fuchs, che scrive Die Tanz nel 1904 e, in un libro capitale del 1909, arriva a individuare la dimensione fondamentale del teatro nel “movimento ritmico del corpo umano nello spazio”.Una definizione che sia Dalcroze sia Laban avrebbero potuto fare propria, per non parlare della Duncan. E’ da lì, da questa base comune (che potremmo chiamare “pre-espressiva”, con l’antropologia teatrale di Eugenio Barba), che riparte il dialogo fra danza e teatro. Non esistono immagini più emblematiche di questo nuovo punto di partenza di quelle degli allievi del maestro ungherese che improvvisano sulle rive svizzere del lago Maggiore, ad Ascona, o fanno esercizi nel famoso icosaedro.Il resto della storia è abbastanza noto. Sarà Laban a parlare per primo di Tanztheater e saranno i suoi allievi, Mary Wigman e Kurt Jooss in testa, a raccogliere il testimone. Finché ad Essen, alla scuola di Jooss, non arriverà negli anni Cinquanta una certa Pina Bausch, appena quindicenne, grazie al cui genio il teatrodanza ha poi toccato un vertice assoluto, forse inarrivabile.Da noi, di teatrodanza non si può parlare prima degli anni Ottanta. Nel 1985 sei giovani usciti dalla scuola veneziana di Carolyn Carlson fondano una compagnia (Sosta Palmizi) e debuttano in proprio con Il cortile, spettacolo che viene indicato come l’atto di nascita del “genere” in Italia. Fra i sei c’era Raffaella Giordano, che nel frattempo aveva integrato l’apprendistato con la maestra americana andando a Wuppertal dalla Bausch. Gli altri erano Michele Abbondanza, Francesca Bertolli, Roberto Castello, Roberto Cocconi e Giorgio Rossi.A Raffaella Giordano (diventata in questi quarant’anni un riferimento imprescindibile per la scena italiana ed europea, non soltanto coreica) ha dedicato un bell’omaggio il festival Kilowatt di Sansepolcro, diretto da Lucia Franchi e Luca Ricci e giunto alla sua XXIII edizione. ‹ › 1 / 5 QUORE PER UN LAVORO IN DIVENIRE_Giordano_KWT25 ‹ › 2 / 5 Raffaella Giordano sul set del film "L'Intrusa" di Leonardo di Costanzo foto di Gianni Fiorito ‹ › 3 / 5 Il Cortile Foto di Elisa Nocentini ‹ › 4 / 5 incontro Giordano_ ph Luca Del Pia ‹ › 5 / 5 IL CORTILE RELOADED_Giordano_KWT25 Tre giorni intensi di incontri, discussioni, filmati, una performance e una installazione, che ci hanno permesso di conoscere più da vicino un’artista unica per talento e sensibilità, capace di muoversi con disinvoltura fra danza, teatro (anche lirico) e cinema, e di dedicarsi con grande impegno alla formazione e alla trasmissione (come nel caso dell’intenso “solo” Tu non mi perderai mai, del 2005, “passato” alla giovane, talentuosa Stefania Tansini).Oggi Raffaella è una luminosa, indomita ragazza di sessantaquattro anni, con qualcosa di virginale e ascetico nell’aspetto. Una Giovanna d’Arco che è passata indenne attraverso il fuoco e non ha perso la voglia di salvare il mondo con la bellezza.Beninteso, non la bellezza consumistica e consolatoria, che serve solo a confermarci nelle nostre illusorie certezze, ma la “bellezza amara” che ci ibnterroga e insinua dubbi, la bellezza dell’essere umano che si mette a nudo, esponendosi nelle sue fragilità, imperfezioni, goffaggini, manie, infelicità; la bellezza di angelanimal, che annaspa a terra ma con l’irrefrenabile tendenza ad elevarsi, brancola nel buio in cerca della luce, si protegge dietro le maschere ma ha un disperato bisogno della verità, su sé stesso e gli altri.Questa è, per me, la lezione di Quore, per un lavoro in divenire (1999-2000), visto a Sansepolcro in video, che non esito a definire un capolavoro. Oltre la danza, oltre il teatrodanza, oltre.Foto fornite da festival Kilowatt di SansepolcroL'articolo Teatrodanza e oltre: l’unicità di Raffaella Giordano proviene da Il Fatto Quotidiano.