Salari fermi da 30 anni: sblocchiamo gli stipendi e questa parabola perversa

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Un mese fa, sul suo blog de ilfattoquotidiano.it, il giornalista economico Enrico Grazzini ha lanciato un appello alla sinistra ad affrontare “i veri problemi della gente”: in particolare, i bassi salari, fermi rispetto a un’inflazione in crescita, che rendono ostica, quando non impossibile, la vita per milioni di lavoratori, lavoratrici e famiglie del ceto medio. Che dire? Non potrei essere più d’accordo sul problema messo a fuoco. Proprio da tale consapevolezza sono nati numerosi interventi, atti, proposte di legge che abbiamo presentato con Alleanza Verdi Sinistra. Da lì vengono le proposte unitarie di tutte le opposizioni sul salario minimo legale e sulla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.Da lì anche la nuova proposta, a prima firma Fratoianni, sull’indicizzazione dei salari, che abbiamo chiamato “Sblocca Stipendi!”: un intervento per far aumentare gli stipendi e adeguarli al costo della vita e all’inflazione. Questa proposta di legge è stata presentata alla Camera giovedì 24 luglio, ma i tre testi di legge devono essere letti come complementari. Sono tutte misure che mirano a redistribuire i frutti della crescita economica, aumentando la retribuzione, salvaguardandone il potere di acquisto e liberando più tempo libero per il lavoratore e la lavoratrice.Qual è senso dello “Sblocca stipendi”? È semplice: se il costo della vita sale, anche il salario deve crescere di pari passo. Con l’inflazione, tutto è aumentato: le tariffe telefoniche, i prezzi degli alimenti, della benzina, dei voli, degli alberghi, degli affitti e dei mutui. Grazie agli adeguamenti automatici legati all’inflazione aumentano anche (poco) pensioni, assegno unico e assegni di mantenimento. Solo gli stipendi sono fermi e valgono sempre meno.Perché, per cinquant’anni, la retribuzione è stata usata come strumento di politica economica, fondando la competitività nei mercati sulla riduzione del costo del lavoro.Gli stipendi in Italia sono fermi da 30 anni; che inflazione e carovita hanno fatto crollare il potere d’acquisto delle famiglie italiane dell’11,5% dal 2019: significa perdere oltre 110€ di stipendio al mese ogni 1000€; che l’inflazione cumulata nel triennio 2021 – 2023 ha sfiorato il 18%, contribuendo a far aumentare la spesa media delle famiglie del 3,9%, cioè di oltre 1.200 euro l’anno. Come Ocse e Oil confermano, anche nel 2025 l’Italia è l’unico Paese del G20 nel quale i salari reali sono inferiori a quelli del 2008 (-8,7%).Una parabola discendente cominciata nel 1991, proprio quando ha operato, per l’ultima volta, lo scatto di contingenza.Già, perché – come noto – il meccanismo che proponiamo in Italia esisteva già: si chiamava “scala mobile” e venne approvato nel 1945 per proteggere i lavoratori dall’inflazione del dopoguerra. Era un meccanismo di adeguamento trimestrale delle retribuzioni all’inflazione, attraverso dei “punti di contingenza” legati a un “paniere” di beni di riferimento per indicizzare i prezzi. Le variazioni del costo della vita venivano determinate ogni tre mesi. I salari venivano adeguati. Tuttavia, quel dispositivo venne cancellato nel 1984 con il cosiddetto “decreto di San Valentino”, confermato poi dal referendum del 1985. Nei primi anni 90 i governi Amato e Ciampi cancellarono definitivamente l’adeguamento degli stipendi all’inflazione.Dal 1990 al 2020 in Italia si è perso il 2,9% del potere d’acquisto mentre in media, nella zona euro, è aumentato del 22,6%. Ecco, perché, simbolicamente, presentiamo lo Sblocca Stipendi a 32 anni esatti dal Protocollo Ciampi e a 40 esatti dal referendum sulla scala mobile.Sempre più quote di reddito si sono spostate dal lavoro ai profitti. Perciò, negli ultimi anni il reddito da lavoro è stato sempre meno in grado di tutelare individui e famiglie dal disagio economico. È dilagato il lavoro povero. E il tema della difesa dei salari è, gradualmente, uscito dal dibattito pubblico e dalla programmazione politica, sempre più affidato ai meccanismi del mercato. Mentre si è continuato e si continua a ripetere che alzare gli stipendi farà crescere l’inflazione. Invece, la realtà odierna è quella di un’inflazione spinta dalla speculazione delle aziende, soprattutto energetiche.Proprio così: le stesse dinamiche inflazionistiche – nonché le eventuali connesse “spirali” – che sono spesso impropriamente imputate alle rivendicazioni salariali, dipendono frequentemente da aumenti dei margini di profitto.Nel presente in cui viviamo, la contrattazione collettiva non può da sola recuperare la perdita del potere d’acquisto dei lavoratori e delle lavoratrici. Ecco perché insistiamo sul salario minimo legale. Come insistiamo sui rinnovi contrattuali, il cui stallo diffuso in tantissime categorie è uno dei fattori che mantengono bassi i salari.E denunciamo continuamente non solo il fenomeno dei cosiddetti “contratti pirata”, ma quello sempre più diffuso della scelta à la carte dei contratti collettivi nazionali da parte delle imprese, per abbattere il costo del lavoro.Tuttavia, sappiamo che questo non basterà: per questo crediamo sia inevitabile ripensare e reintrodurre un sistema di indicizzazione dei salari al costo della vita.Per questo, proponiamo un meccanismo che adegui automaticamente ogni 12 mesi lo stipendio all’inflazione, tramite un decreto del Consiglio dei Ministri. La percentuale di adeguamento verrebbe calcolata in base alle previsioni per i 12 mesi successivi e dell’inflazione effettiva dei 12 mesi precedenti.Con quali risorse si potrebbe fare? Con quelle derivanti dall’incremento di 2,5 punti percentuali dell’attuale aliquota sulle plusvalenze realizzate dai dividendi o dalla vendita di titoli azionari (il cosiddetto “capital gain”).Tutte le manovre di bilancio degli ultimi decenni hanno ignorato misure sui minimi salariali, sull’indicizzazione all’inflazione dei salari, delle aliquote e delle detrazioni fiscali. Hanno rinunciato completamente a tutelare il potere d’acquisto dei lavoratori e delle lavoratrici. È tempo di invertire questa tendenza. Di rovesciare la vulgata che antepone la crescita della produttività del lavoro alle concrete possibilità di avanzamento salariale. Perché solo un aumento dei consumi interni dovuto all’aumento degli stipendi può stimolare la nostra economia. E orientare il tessuto imprenditoriale verso l’innovazione e l’efficienza.Soprattutto in Italia, dove la depressione salariale di questi anni ha alimentato una spirale di lassismo, inefficienza e carenza di investimenti da parte del sistema produttivo. Una parabola perversa, che troppe volte finisce in vera e propria illegalità, in sfruttamento, in elusione, in ingegno usato solo per trovare mille e più modi di sottopagare il lavoro.Dobbiamo uscire da questa crisi. E non ci sono scorciatoie.L'articolo Salari fermi da 30 anni: sblocchiamo gli stipendi e questa parabola perversa proviene da Il Fatto Quotidiano.