Siria. I curdi e l’incognita al-Salama: equilibrio impossibile nel dopo-Assad

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di Giuseppe Gagliano –Dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad nel dicembre 2024, la Siria è entrata in una fase delicata e instabile. In questo scenario una figura nuova ha assunto un ruolo centrale: Hussein al-Salama, capo dell’intelligence del governo transitorio siriano. Il suo compito, tra i più difficili della regione, è affrontare il nodo della questione curda e definire i rapporti tra lo Stato centrale e le Forze Democratiche Siriane (SDF), struttura dominata dalle milizie curde YPG.Il nord-est della Siria, strategico per risorse e posizione, è oggi controllato in buona parte proprio dalle forze curde. Queste godono da anni del sostegno degli Stati Uniti e della Francia nella lotta all’ISIS, ma sono considerate un nemico esistenziale dalla Turchia, che le identifica con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). In mezzo a queste pressioni contrapposte si muove al-Salama, tra missioni diplomatiche a Parigi e colloqui con Washington.La situazione curda in Siria è il prodotto di più di un decennio di conflitto, promesse mancate e alleanze fragili. Le YPG, nucleo militare delle SDF, hanno garantito stabilità e sicurezza in molte aree liberate dall’ISIS. Ma per la Turchia rappresentano una minaccia diretta e costante. Da anni, Ankara conduce operazioni militari nel nord della Siria per creare una zona cuscinetto e impedire la nascita di un’entità autonoma curda ai suoi confini.Nel 2025 questa strategia si è intensificata. A gennaio, l’esercito turco ha lanciato una nuova offensiva contro le posizioni curde e del PKK, conquistando città strategiche come Tal Rifaat e Manbij. Dichiarazioni bellicose da parte di alti funzionari turchi hanno ribadito la volontà di eliminare ogni forma di presenza militare curda lungo il confine.In questo clima, le trattative di al-Salama con gli attori internazionali assumono un valore cruciale, ma anche fortemente limitato. Ogni proposta di integrazione delle SDF nel nuovo assetto siriano deve confrontarsi con la ferma opposizione turca e con l’irrigidimento delle stesse milizie curde, che temono di perdere l’autonomia conquistata sul campo.Nel maggio 2025 al-Salama è stato ricevuto a Parigi. La Francia mantiene un piccolo contingente militare nel nord-est siriano e sostiene politicamente le forze curde. Tuttavia, i colloqui non hanno prodotto risultati concreti. Da un lato, Parigi insiste per garantire un ruolo politico alle SDF. Dall’altro, il governo transitorio siriano, condizionato dalle posizioni turche, considera inaccettabile qualsiasi forma di autonomia curda.I colloqui con Washington si sono rivelati ancora più complicati. Gli Stati Uniti, pur essendo stati il principale sponsor militare delle YPG contro l’ISIS, hanno da tempo avviato un processo di disimpegno dalla regione. La rielezione di Donald Trump ha riacceso il dibattito sul ritiro delle truppe speciali americane ancora presenti in Siria. Senza la protezione americana, le forze curde rischierebbero di essere schiacciate tra Damasco e Ankara.Washington, pur apprezzando i tentativi di al-Salama, non sembra intenzionata a giocare un ruolo attivo nella definizione del futuro siriano. Le sue priorità strategiche sono altrove, e la permanenza in Siria viene vista come un’eredità scomoda, costosa e potenzialmente pericolosa.Al-Salama si trova quindi stretto tra interessi inconciliabili. Da una parte, deve garantire l’integrità territoriale della Siria e impedire che le SDF diventino uno Stato nello Stato. Dall’altra, non può ignorare la loro capacità militare, il sostegno popolare e l’esperienza di governo accumulata negli anni. Tentare di smantellare le strutture curde senza offrire garanzie di rappresentanza rischia di rilanciare un conflitto interno in una Siria già lacerata.In parallelo, la pressione turca è crescente. Ankara non accetterà mai una Siria federale con una regione autonoma curda. La sua influenza sulle milizie arabe del Syrian National Army, attive nel nord, è tale da condizionare anche la politica del governo siriano di transizione. Al-Salama, pur con margini ristretti, tenta di tenere unito il Paese, ma le pressioni esterne potrebbero prevalere.Nel breve periodo, lo scenario più probabile è quello della stasi. Le forze curde manterranno il controllo del loro territorio, ma saranno costantemente minacciate da Ankara. Senza garanzie internazionali, difficilmente accetteranno di smobilitare. L’integrazione nelle forze armate siriane rimane sulla carta, mentre il dialogo politico è ostacolato da reciproca diffidenza.Nel medio termine, molto dipenderà dalla decisione degli Stati Uniti. Un ritiro completo delle truppe speciali cambierebbe radicalmente gli equilibri sul terreno. La Francia, da sola, non ha la capacità militare per proteggere le SDF. In quel caso, le opzioni dei curdi sarebbero due: cedere terreno alla Turchia o negoziare con Damasco condizioni di reintegrazione che rischiano di cancellare ogni autonomia.La Russia, pur ridimensionata dopo la caduta di al-Assad, potrebbe rientrare nel gioco come mediatore. Ma senza una visione comune tra potenze occidentali, attori regionali e forze locali, ogni tentativo di stabilizzazione rischia di fallire.Hussein al-Salama è chiamato a una missione quasi impossibile: gestire la transizione siriana salvaguardando l’unità nazionale, contenendo l’influenza turca e garantendo un minimo di rappresentanza ai curdi. Ma senza un impegno coerente degli Stati Uniti e della comunità internazionale, ogni sforzo rischia di infrangersi contro le logiche della forza.La questione curda, ancora una volta, viene sacrificata sull’altare della geopolitica. In assenza di una strategia condivisa, il rischio è che la Siria post-al-Assad si trasformi in una nuova arena di conflitti irrisolti, dove le milizie continueranno a dominare e il popolo siriano a pagare il prezzo.