Una batteria di dichiarazioni che mettono nel mirino Giorgia Meloni ma anche Ursula von der Leyen per l'accordo sui dazi al 15 per cento raggiunto ieri con gli Stati Uniti e l'amministrazione di Donald Trump. E che servono a ricompattare le opposizioni attorno a un tema, quello della guerra commerciale, verso cui il giudizio è quasi unanime: la trattativa con gli Usa è stata un fallimento. Mentre dall'altra parte, a destra, si cerca di insistere sulla natura di compromesso che ha evitato guai più grossi all'Europa. "I dazi al 15 per cento sono meglio del 30 per cento ma peggio di zero. Ma soprattutto Von der Leyen ha ceduto a Trump e dunque non va bene. Anche perché i dazi costeranno decine di miliardi di euro al nostro paese. Intanto oggi abbiamo la conferma che la vantata amicizia di Meloni con Trump non è servita a evitarli", ha detto il presidente del Pd Stefano Bonaccini. Seguito a ruota da una serie di reazioni dello stesso tenore. "È un accordo capestro, con una tariffa molto superiore al livello a cui si puntava inizialmente, senza alcuna reciprocità, perché i dazi europei sulle merci americane rimarranno a zero, mentre le merci europee pagheranno tariffe del 15 per cento", dice il responsabile economico del Pd Antonio Misiani, che definisce l'accordo "un cedimento totale" di von der Leyen a Trump. "L'accordo sui dazi tra UE e Stati Uniti è una resa senza condizioni. Von der Leyen ha consegnato l'Europa a Trump e Meloni, invece di difendere l'interesse nazionale, ha preferito fare da spettatrice. Così le nostre imprese pagano dazio due volte: tariffe del 15 per cento per esportare e un dollaro debole che penalizza la competitività", è il commento della responsabile scuola del Pd Irene Manzi. "Ursula von der Leyen ha avuto un atteggiamento troppo timido per la paura delle conseguenze di una pesante guerra commerciale e per l'atteggiamento eccessivamente conciliante di alcuni Paesi europei. Tra questi l'Italia, dove Giorgia Meloni è stata silente per non dispiacere l'amico Trump. Silenzio che ha indebolito l'Europa e la sua posizione negoziale", specifica il senatore Alessandro Alfieri, coordinatore dei riformisti dem. Ma come detto la lettura fortemente critica non è solo del Pd. "L'accordo tra Stati Uniti ed Europa sui dazi non è un accordo: è la resa incondizionata dell'Europa al sovranismo di Trump. La verità è che i sovranisti fanno male al mondo. E se oggi il governo americano festeggia, accordi coloniali di questo genere porteranno sul medio periodo gli Stati Uniti a perdere la propria forza morale ed economica. Con il piano Marshall l'America ha guidato il mondo per decenni, con le tariffe l'America fa del male innanzitutto ai propri alleati europei", dice il leader di Iv Matteo Renzi. Secondo cui la leadership di Ursula von der Leyen sarebbe insulsa e dannosa. "Mandare Ursula von der Leyen a trattare con Trump è come mandare Cappuccetto Rosso a dialogare con il lupo. E la responsabilità è innanzitutto del Partito Popolare Europeo che ha scelto per due mandati quest'algida burocrate già responsabile di aver distrutto la manifattura con il Green Deal e ora impegnata a dare il colpo di grazia all'economia europea", aggiunge l'ex premier. Anche Carlo Calenda usa toni piuttosto simili. "Al di là dei contenuti del disastroso accordo con Trump ieri è stato plasticamente chiaro che la von der Leyen non ha la statura, l'autorevolezza e la forza per rappresentare l'Unione Europea", ha scritto sui social il leader di Azione. "Alla fine la lunga partita dei dazi è giunta a conclusione. E come in ogni duello c'è un vincitore - il presidente americano Trump - e uno sconfitto, anzi due: l'Unione Europea e Giorgia Meloni", è invece il commento di Giuseppe Conte a sintetizzare la posizione del M5s. "Giorgia Meloni si conferma non all'altezza, tanto quanto Ursula von der Leyen. Entrambe hanno scontato sin dal principio un atteggiamento di ossequiosa sudditanza che ha via via ridotto il margine di negoziazione. E così, l'Italia e l'Europa si ritrovano con un pugno di mosche in mano".