La successione impossibile. Faglie, fedeltà e scenari oltre Xi Jinping

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Il Partito Comunista Cinese (Pcc) si presenta all’esterno come un monolite ideologico, cementato dalla leadership personale e accentratrice di Xi Jinping. Ma la circolazione persistente di voci, smentite e retroscena non confermati sulla sorte di alti dirigenti e ufficiali militari, anche se difficili da verificare, segnala forse qualcosa di più profondo: l’esistenza di tensioni carsiche all’interno dell’élite cinese. Il sistema rigidamente verticistico creato da Xi può apparire impermeabile, ma l’assenza di un chiaro meccanismo di transizione potrà produrre scenari di conflitto, evidenziando potenziali linee di frattura. Su questi temi,  il recente report siglato China Brief della Jamestown Foundation offre un’analisi dettagliata sulle attuali dinamiche di potere e autorità interne a Pechino.I pilastri del potere e la roccaforte di XiXi Jinping mantiene saldamente il controllo del sistema partito-stato cinese, ricoprendo le tre più alte cariche: segretario generale del Partito Comunista Cinese (PCC), presidente della Commissione militare centrale (CMC) e presidente dello Stato. In oltre un decennio di governo, ha reso il potere più personale e centralizzato, riducendo i vincoli istituzionali e trasformando il Partito per allinearlo alla sua visione. Nonostante periodiche voci di declino, la sua influenza rimane intatta ed la sua leadership poggia, secondo la Jamestown Foundation, su cinque pilastri strategici: la pistola (l’ammodernamento dell’esercito); il coltello (la nuova centralità della sicurezza nazionale); il giornale (la rappresentazione interna ed esterna di Xi); la penna (la propaganda); il sangue (il peso dei ruoli e delle famiglie all’interno del Pcc).L’Esercito Popolare di Liberazione (PLA) è stato una priorità per Xi, che ha guidato una campagna anticorruzione e una riorganizzazione profonda della struttura militare, potenziando il controllo diretto nonostante i limiti che emergono nella dipendenza da figure chiave come il vicepresidente della Cmc Zhang Youxia, e nelle recenti epurazioni di alto livello, che indicano tensioni interne e un’erosione parziale della sua capacità di controllare direttamente il complesso militare.D’altro canto, l’ampliamento della sicurezza nazionale ha coinvolto importanti riforme del Ministero della Sicurezza di Stato, rafforzando il controllo centrale. Nonostante alcuni segnali di turbolenze politiche emersi nella leadership di organi chiave della sicurezza interna, con cambi di personale e spostamenti politici che suggerirebbero una lotta per il controllo ed un meccanismo di lealtà fluide, la burocrazia del partito rimane fedele a Xi.Il sistema di propaganda resta uno degli strumenti più saldi nelle mani di Xi Jinping. La continuità nella leadership di settore nell’ultimo anno riflette la fiducia del leader cinese in questo apparato, cruciale per rafforzare il controllo ideologico del Partito. Xi ha consolidato progressivamente la sua presa sulla macchina mediatica sin dal primo mandato, lanciando campagne di “lavoro sul pensiero e la propaganda” per subordinare l’opinione pubblica all’autorità centrale. Le sue frequenti apparizioni in prima pagina sul People’s Daily e le ispezioni alle agenzie statali testimoniano il ruolo centrale attribuito alla propaganda nella legittimazione del suo potere. La nomina di Wang Huning alla guida ideologica, dopo la marginalizzazione dell’uomo di Jiang Zemin, Liu Yunshan, ha mirato a costruire un culto della personalità attorno a Xi. Tuttavia, i risultati di questa strategia sono controversi: mentre alcuni intravedono un culto emergente funzionale alle purghe, anche di carattere istituzionale e militare, altri ne evidenziano gli effetti grotteschi e potenzialmente controproducenti. Meno visibile, ma non meno significativa secondo il report Usa, è la posizione delle élite rosse, spesso citate come potenziali fonti di resistenza al potere di Xi. Dalla metà degli anni 2010, si susseguono indiscrezioni su malumori tra alti dirigenti in pensione, che però non dispongono più di strumenti istituzionali formali per incidere a causa della dissoluzione della Commissione Consultiva Centrale che, assieme alle dichiarazioni di Xi riguardo alla necessità che i pensionati rimanessero fuori dal processo decisionale, ha privato i quadri anziani di uno storico canale di influenza.La retorica di stabilità imposta dall’alto si accompagna infatti a una gestione del potere incentrata sulla lealtà assoluta e sul controllo disciplinare, con l’assenza deliberata di qualsiasi figura di successore ufficiale. Questo vuoto alimenta un clima di sospetto e competizione che si riflette nel turnover forzato e nelle purghe ricorrenti ai vertici di settori strategici come le forze armate, l’apparato industriale-tecnologico e lo stesso Comitato permanente del Politburo. La destituzione, mai chiarita, di figure come il ministro della Difesa Li Shangfu e del comandante delle Forze missilistiche Li Yuchao ha rappresentato un segnale forte della vulnerabilità che Xi percepisce anche tra i suoi stessi fedelissimi. Come nel caso della morte di Mao e del crollo della Banda dei Quattro, anche oggi le forme più rigide di autorità possono sfaldarsi rapidamente quando si apre un vuoto di potere.Quel vuoto, in Cina, ha un nome rimosso ma centrale: la successione. Xi Jinping non ha designato un erede, né ha lasciato spazio istituzionale a una sua eventuale emersione. Tuttavia, l’invecchiamento del leader e la possibilità che si trovi, prima o poi, a dover affrontare una transizione, (pubblicamente o in forma riservata, pacificamente o forzatamente) rendono la questione ineludibile. In quel momento, le élite oggi formalmente leali potrebbero mutare rapidamente schieramento, agendo per aggregarsi attorno a un nuovo nucleo di potere, forse non più riconducibile a Xi.La successione, da esigenza fisiologica a imposizione politica. Gli scenariLa Jamestown Foundation individua, attraverso una what if analysis, tre scenari principali riguardo l’evoluzione della fase finale del ciclo politico di Xi.Xi Jinping resta dominante: In questa prospettiva, Xi mantiene il pieno controllo dei meccanismi centrali del Partito, dalla Commissione Militare Centrale al Politburo, senza indicare un successore. I membri del Comitato permanente restano esecutori disciplinati della sua agenda, e la coesione viene assicurata tramite campagne ideologiche e purghe mirate, specie nei settori più sensibili. Le lotte interne esistono, ma sono contenute entro lo schema istituzionale costruito da Xi stesso. È un sistema che regge finché la pressione dall’alto riesce a comprimere le ambizioni divergenti. Xi Jinping indebolito: Qui, il centro si frammenta. L’autorità di Xi non crolla, ma è contestata in modo sempre più aperto da altri attori dell’élite. Emergono vuoti di potere, segnali contraddittori tra organi del Partito, rivalità tra fazioni. Anche i più stretti collaboratori di Xi — come Cai Qi o Ding Xuexiang — potrebbero cercare nuovi equilibri, magari alleandosi con figure forti come Zhang Youxia. In questo scenario, si formano centri di influenza paralleli, soprattutto nel comparto militare o economico, e la governance diventa più transazionale che verticistica. Il rischio principale è la destabilizzazione latente, in cui ogni purga diventa un potenziale detonatore di crisi.Xi Jinping messo da parte: Lo scenario più improbabile, ma non impossibile. Qui, Xi viene rimosso o svuotato del potere attraverso un’azione concertata da parte di organi interni — come la CMC o il Politburo — oppure a seguito di una crisi improvvisa (ad esempio sanitaria). I segnali sarebbero netti: scomparsa improvvisa dei principali fedelissimi, ascesa di un nuovo leader, svolta nei toni dei media ufficiali, revisione del lessico ideologico del partito. In questo caso, il sistema non riuscirebbe più a contenere il conflitto all’interno delle sue strutture, e si aprirebbe una fase di ridefinizione istituzionale inedita dal 1976.Se oggi l’apparato del PCC sembra impermeabile a ogni forma di dissenso, è solo perché è stato costruito per comprimere le tensioni interne e rinviare le contraddizioni. Ma con l’avvicinarsi di una fase di transizione inevitabile, quel modello potrebbe rivelarsi fragile. La storia politica cinese insegna che la forza del centro non è mai assoluta, e che l’apparente immobilità può nascondere trasformazioni silenziose, pronte a esplodere quando il controllo personale non è più sostenibile. Xi Jinping ha costruito un sistema in cui tutto ruota attorno alla sua figura. Ma proprio per questo, la sua successione rischia di diventare la faglia più pericolosa del potere cinese contemporaneo.Lo scenario oggi più coerente con l’andamento del sistema politico cinese è, secondo la Jamestown Foundation, quello di una permanenza dell’egemonia personale di Xi Jinping. Nonostante le purghe di alto livello, i frequenti rimescolamenti all’interno dell’apparato militare e le voci insistenti su malcontenti d’élite, non vi sono segnali visibili di un’erosione significativa dell’autorità di Xi. Il leader cinese continua a presiedere le riunioni del Politburo, a supervisionare le principali commissioni del Partito e a dominare la comunicazione ufficiale. I suoi più stretti alleati – Wang Huning, Cai Qi, Zhao Leji e Ding Xuexiang – mantengono posizioni centrali, a conferma della solidità del blocco di potere costruito nel corso degli ultimi tre mandati.Quale transizione per il potere rossoL’assenza di contendenti visibili, capaci di aggregare consenso interno o di strutturarsi attorno a una base organizzativa autonoma, rafforza ulteriormente l’impressione di un dominio consolidato. Anche se emergono segnali di una certa fluidità nelle dinamiche interne, queste si muovono ancora entro l’architettura istituzionale plasmata da Xi, non contro di essa. Tuttavia, questa lettura non può prescindere da una nota di cautela strategica. La continuità dell’autorità di Xi non equivale a una sua intangibilità, soprattutto alla luce di segnali recenti di riequilibrio dell’apparato militare e di sicurezza, che hanno messo in discussione la compattezza del fronte istituzionale che lo ha sostenuto fino a oggi.La riunione del Politburo di giugno 2025, dedicata all’adozione di nuovi regolamenti per il funzionamento interno degli organi decisionali del Partito, è indicativa di una crescente consapevolezza politica: l’esigenza di formalizzare le procedure e contenere il potere personale emerge come risposta implicita a una gestione fortemente centralizzata. Parallelamente, si è assistito a un profondo turnover ai vertici dei servizi militari e di sicurezza. La rimozione dell’ammiraglio Miao Hua dalla Commissione Militare Centrale e la sua espulsione dal Congresso nazionale del popolo, congiuntamente alla scomparsa del generale He Weidong e alla messa da parte del viceammiraglio Li Hanjun, indicano una ridefinizione in corso delle reti di patrocinio attorno al leader.Questi eventi, che hanno portato al sostanziale dimezzamento del CMC segnalano un tentativo sistematico di riequilibrare il potere interno, forse per evitare che singole figure o cordate possano diventare poli autonomi d’influenza. Se il controllo di Xi resta formalmente intatto, è proprio il bisogno ricorrente di ricalibrare gli equilibri a evidenziare la natura instabile della stabilità raggiunta.Le transizioni di potere nel sistema cinese non seguono un calendario definito. Possono protrarsi per anni in una fase grigia di equilibri instabili, oppure precipitare bruscamente in una contesa più aperta, qualora la competizione tra fazioni dovesse trasformarsi in una spirale difficile da controllare. Il Partito Comunista aveva provato a codificare regole di successione proprio per evitare simili derive: norme costruite per garantire prevedibilità, contenere le ambizioni e prevenire scossoni sistemici ed oggi lentamente e metodicamente smantellate da Xi Jinping. In nome della centralizzazione del potere e della “grande rinascita della nazione cinese”, il leader ha infatti accentrato il comando intorno alla propria figura, erodendo i meccanismi che fino a poco tempo fa assicuravano una rotazione ordinata ai vertici.Oggi, il punto cieco del Partito è la successione. Nessuno sa quando e come avverrà, ma tutti sanno che la questione è aperta. L’anagrafe, prima o poi, presenterà il conto anche a Xi e in assenza di un processo codificato, la partita sarà aperta a manovre opache e bilanciamenti ostili, con il resto del mondo in attesa, ad osservare.