Vi spiego perché non ho aderito alla lettera dei diplomatici a Meloni sulla Palestina. Parla l’amb. Mattiolo

Wait 5 sec.

Riconoscere la Palestina oggi? “Più che un passo verso la pace, rischia di essere un salto nel vuoto”. Luigi Mattiolo, ambasciatore di lungo corso ed ex consigliere diplomatico a Palazzo Chigi, ha scelto di non firmare la lettera inviata da quaranta ex ambasciatori a Giorgia Meloni per chiedere il riconoscimento dello Stato palestinese. Un’iniziativa che ha diviso la diplomazia italiana e che arriva mentre la guerra a Gaza continua a scuotere le coscienze europee. “Capisco lo spirito della lettera – spiega Mattiolo a Formiche.net – ma non ne condivido l’impostazione. Serve realismo: senza sicurezza per Israele, disarmo delle milizie e una guida palestinese credibile, ogni riconoscimento rischia di cristallizzare il conflitto anziché risolverlo”.Ambasciatore Mattiolo, perché ha scelto di non firmare la lettera dei quaranta ex ambasciatori indirizzata a Meloni?Ho un profondo rispetto per i colleghi firmatari, molti dei quali conosco da decenni per frequentazioni sia professionali che umane. Ma non ho sottoscritto la lettera per due motivi fondamentali. Primo, non credo che il riconoscimento unilaterale dello Stato di Palestina possa contribuire, in questa fase, ad avviare una vera dinamica negoziale. Secondo, ritengo che un riconoscimento così debba essere accompagnato da un passaggio altrettanto significativo da parte palestinese: il riconoscimento non solo dello Stato di Israele, ma della sua natura ebraica.Un elemento, quest’ultimo, che storicamente è stato oggetto di attrito.Esatto. Il mondo arabo e la galassia palestinese, anche nei suoi settori meno oltranzisti, non hanno mai realmente accettato il concetto di uno Stato ebraico. Questo nodo irrisolto è alla base di molte delle incomprensioni che ancora oggi impediscono qualsiasi reale avanzamento del processo di pace.Eppure molti Stati europei – pensiamo alla Spagna, alla Norvegia, all’Irlanda – hanno proceduto al riconoscimento. La Francia in testa. Come valuta l’iniziativa?Apprezzo il peso e la responsabilità politica di un’iniziativa come quella francese. Ma l’Italia ha sempre sostenuto il popolo palestinese, e già oggi esiste una delegazione palestinese ufficialmente riconosciuta sia presso il nostro Stato che presso la Santa Sede. Non vedo, francamente, cosa cambierebbe nel concreto un riconoscimento formale ora, se non aumentare la confusione e irrigidire ulteriormente le posizioni.C’è chi sostiene che Hamas oggi non sia più “parte della questione”, che l’urgenza umanitaria vada scollegata dalla dinamica del conflitto. Condivide?No, non lo condivido. È vero che la crisi umanitaria a Gaza è drammatica, ma non possiamo scollegarla dall’attacco del 7 ottobre, che è stato l’evento scatenante. Dire che gli orrori della Striscia non hanno più nulla a che fare con Hamas è una lettura falsata. Israele ha subito una violenza senza precedenti, un pogrom in piena regola con ostaggi e civili uccisi. E continua a essere sotto attacco su più fronti.Cosa serve, allora, per far ripartire un processo negoziale credibile?Prima di tutto una realtà: la cessazione delle ostilità può avvenire solo se ci sono alcune condizioni minime. Primo, il rilascio degli ostaggi israeliani. Secondo, il disarmo di Hamas e delle altre milizie presenti nella Striscia. Terzo, l’individuazione di un’autorità palestinese credibile, in grado di governare Gaza in modo responsabile. Al momento nessuna di queste condizioni è stata soddisfatta.Lei ha parlato in passato di ambiguità strutturali nella gestione della Striscia. A cosa si riferisce?Molte delle tragedie attuali hanno radici profonde. Dal 2007, con la presa del potere da parte di Hamas, Gaza è diventata un laboratorio del terrore. La popolazione civile viene utilizzata come scudo umano, e gli aiuti internazionali – che pure non sono mancati – sono stati sistematicamente deviati per rafforzare il controllo militare di Hamas. Anche i testi scolastici diffusi a Gaza, in molti casi, promuovono l’odio e la cancellazione di Israele dalle mappe. Eppure, su tutto questo, la comunità internazionale ha preferito chiudere un occhio.E l’Europa, in tutto questo?Se l’intento della lettera è quello di smuovere l’Europa, allora serve un’azione coordinata. Stati Uniti, Unione Europea e Paesi arabi che non hanno mai rinnegato gli Accordi di Abramo dovrebbero farsi promotori di una nuova iniziativa negoziale. Ma servono basi solide, non dichiarazioni simboliche. Perché un riconoscimento formale, oggi, rischia di fare più danni che altro.