Sui dazi, dopo l’accordo raggiunto tra Usa e Ue, le organizzazioni di imprese sembrano tenere posizioni diverse. Sono sostanzialmente divise tra la voglia di stabilità e il peso dei costi.E così per esempio per Confcommercio “l’accordo commerciale costituisce un fattore di ‘certezza in tempi incerti’. Bene, dunque, avere scongiurato la prospettiva di guerre commerciali tra le due sponde dell’Atlantico e l’avere garantito stabilità a ‘due sistemi economici e imprenditoriali fortemente interconnessi tra loro'”. Anche se Confcommercio fa presente come “oltre ai dazi” siano previsti “impegni europei ad acquisti di energia dagli Usa per 750 miliardi di dollari, ad investimenti aggiuntivi negli Stati Uniti per 600 miliardi di dollari e ad importanti acquisti di sistemi di difesa“.Per il presidente di Confcooperative Maurizio Gardini “l’accordo raggiunto tra Unione europea e Stati Uniti mette fine ad una fase di incertezza dopo mesi di instabilità che hanno rischiato di portarci a una guerra commerciale che le nostre imprese non avrebbero potuto reggere. Tuttavia, non possiamo nascondere le nostre preoccupazioni: i dazi al 15%, seppur più contenuti rispetto alle minacce iniziali del 50% e successivamente del 30%, oltre alla svalutazione del dollaro costituiscono comunque un fardello significativo per il tessuto produttivo europeo”.L’accordo “preoccupa” invece il presidente di Legacoop Simone Gamberini soprattutto “per l’elevato impatto che avrà sulle nostre principali esportazioni e, di conseguenza, sulla produzione. Scongiurare una ‘guerra commerciale’ non può significare un’accettazione totale delle condizioni che gli Usa intendono imporre. È indispensabile prevedere sostegni e compensazioni per le imprese colpite, insieme con una rapida riattivazione del tavolo sull’export per mettere concretamente a disposizione i 25 miliardi assicurati dal governo“.“Un livello dei dazi al 15% provocherà effetti comunque molto pesanti sull’export italiano che vanno a sommarsi all’apprezzamento degli ultimi mesi dell’euro sul dollaro di quasi il 15% – afferma la Cna – l’Italia è uno dei principali esportatori negli Stati Uniti e quindi qualsiasi innalzamento dei dazi avrebbe riflessi molto negativi, in particolare sul sistema delle piccole imprese”. Per il presidente della Cna Dario Costantini “si scrive 15 ma si legge 30% ed è una tassa ingiusta e sproporzionata che penalizza il made in Italy, ma avrà riflessi negativi anche sull’economia americana. Sono necessari sostegni e compensazioni e ci attendiamo a breve la riattivazione del tavolo sull’export a Palazzo Chigi per un confronto su strumenti e criteri per mettere a disposizione del sistema delle imprese i 25 miliardi assicurati dal governo”.Per il presidente della Coldiretti Ettore Prandini “il nuovo assetto tariffario avrà impatti differenziati tra i settori e deve essere accompagnato da compensazioni europee per le filiere penalizzate anche considerando la svalutazione del dollaro. Dobbiamo aspettare di leggere la lista dei prodotti agroalimentari a dazio zero sui quali ci auguriamo che la commissione Ue lavori per far rientrare, per esempio, il vino che altrimenti sarebbe pesantemente penalizzato”.“L’accordo sui dazi Usa al 15% mette fine all’incertezza di questi mesi – rileva il presidente di Confartigianato Marco Granelli – ma non sarà indolore per le nostre imprese, poiché quello statunitense è il secondo mercato mondiale, dopo la Germania, per l’export made in Italy. E proprio negli Stati Uniti, negli ultimi 5 anni, gli imprenditori italiani hanno messo a segno la maggiore crescita di esportazioni: +57%, pari ad un aumento di 24,2 miliardi. Ora è più che mai necessario che l’Ue si concentri su politiche industriali finalizzate ad aumentare la competitività delle aziende e dell’economia europee”.La vede meglio Unimpresa per la quale “l’impatto dei nuovi dazi al 15% concordati tra Stati Uniti e Unione europea sulle esportazioni italiane potrebbe essere sensibilmente inferiore rispetto alle stime iniziali. Ciò perché alcuni settori chiave, come il farmaceutico, le specialità chimiche e parte dei beni ad alta tecnologia, saranno soggetti a esenzioni totali o parziali”.“A oggi è un 15% di dazi solo di facciata, ma tra energia e armi arriviamo a oltre il 30%, con acquisti imposti e non dettati dal libero scambio commerciale: è un’assurdità – osserva il presidente di Federpetroli Michele Marsiglia, interpellato da LaPresse – fermiamo l’ottimismo e concentriamoci su quello che sarà l’accordo Usa-Ue finale. Acquistare 750 miliardi di energia non è poco e non sappiamo ancora che tipo di energia e soprattutto a che prezzo. L’Italia e l’Europa hanno diversificato i propri acquisti energetici tra Africa e Medioriente. Attendiamo il documento finale dell’accordo per studiare i dettagli che a oggi sono alquanto non chiari. Diversi Stati europei non sono pronti ad acquisiti di questo tipo e se si parla di Gnl qualcuno a Bruxelles o in Scozia ha dimenticato che la stessa commissione ha fatto guerra alle nostre aziende energetiche nella costruzione dei rigassificatori”.Questo articolo Dazi, imprese divise tra stabilità e costi proviene da LaPresse