di Giuseppe Gagliano –È bastata la minaccia: dazi al 100% per chi continuerà a comprare greggio russo. Una mossa tipicamente trumpiana, tanto diretta quanto brutale. E l’India, terzo importatore mondiale di petrolio, ha fatto un passo indietro. La scorsa settimana le principali raffinerie pubbliche indiane, ovvero Indian Oil, Hindustan Petroleum, Bharat Petroleum e Mangalore Refinery, hanno sospeso gli acquisti di petrolio russo. Le ragioni ufficiali: sconti meno vantaggiosi, incertezza logistica e, soprattutto, il timore delle nuove misure punitive annunciate dalla Casa Bianca.Dietro a questa decisione si celano alcune dinamiche fondamentali.Il primo asse è quello economico-strategico. Il petrolio russo, venduto a prezzi scontati rispetto al Brent a causa delle sanzioni occidentali, era diventato un affare per l’India. Ma le minacce di Trump cambiano il quadro. L’uso del commercio come arma diplomatica, in questo caso per forzare un “accordo di pace” tra Mosca e Kiev, dimostra che gli Stati Uniti, anche nel secondo mandato di Trump, non intendono allentare la pressione sul Cremlino. Anzi, rilanciano il concetto di “guerra economica totale”, colpendo i partner indiretti di Mosca per spezzarne la rete commerciale.L’India, pur non allineata sul piano formale, ha un’interdipendenza profonda con l’Occidente: accesso al mercato statunitense, cooperazione militare con Washington, investimenti tecnologici. Di fronte alla prospettiva di dazi devastanti, Nuova Delhi ha scelto la prudenza.Per la Russia il colpo è pesante. Dopo essere diventata nel 2023 il secondo fornitore di greggio dell’India, Mosca vede ora sgretolarsi un canale essenziale per compensare le mancate esportazioni verso l’Europa. I flussi erano cresciuti non solo in volume, ma anche in rilevanza strategica, consolidando un asse euroasiatico che sfidava apertamente l’ordine energetico dominato dall’Occidente. Con la decisione indiana, si restringe lo spazio di manovra finanziario del Cremlino, già provato dal tetto al prezzo del petrolio imposto dal G7 e dalla crescente difficoltà di utilizzare la rete bancaria internazionale.Le conseguenze non si limiteranno ai ricavi: il greggio russo dovrà cercare nuovi sbocchi ma la Cina, altro grande acquirente, è già in una posizione negoziale forte, capace di imporre prezzi più bassi. Altri mercati, come quelli africani o sudamericani, offrono volumi modesti e infrastrutture limitate. Mosca rischia di dover vendere in perdita o di rallentare la produzione, con effetti sistemici sull’intera industria petrolifera nazionale.Dal punto di vista geopolitico, la mossa indiana segna un punto di svolta. Nuova Delhi ha finora cercato di mantenere un equilibrio tra i suoi legami storici con Mosca e la progressiva integrazione con l’Occidente. Partecipazione al Quad, collaborazione nel campo della difesa con gli USA, e rafforzamento dei legami con Francia e Giappone, ne fanno un attore chiave nell’Indo-Pacifico.La scelta di interrompere gli acquisti di petrolio russo, pur temporanea, evidenzia i limiti dell’autonomia strategica in un mondo polarizzato. L’India non rinuncia alla sua dottrina di non allineamento, ma la adatta al nuovo contesto: uno in cui la pressione americana può toccare anche gli alleati informali, costringendoli a scelte che riflettono rapporti di forza più che convinzioni ideologiche.Il caso del petrolio russo ritirato dal mercato indiano è un indicatore potente di come la geopolitica oggi si gioca anche attraverso le catene di fornitura. Non è più solo questione di truppe o trattati: sono i flussi energetici, le rotte commerciali, le valute e le piattaforme digitali a raccontare chi ha potere e chi lo subisce.Se Mosca non riuscirà a trovare alternative rapide, la pressione interna aumenterà. E se l’India deciderà di sostituire il petrolio russo con forniture statunitensi o mediorientali, assisteremo a un ulteriore slittamento strategico verso l’asse atlantico. In silenzio, ma inesorabile.