Oltre 250 puntate, oltre 100milioni di visualizzazioni, Tintoria è diventato un podcast cult nel panorama culturale italiano. Daniele Tinti (35 anni, aquilano d’adozione romana) e Stefano Rapone (38 anni, romano), gli ideatori e conduttori di Tintoria, due dei più seguiti monologhisti della scena comica italiana, hanno individuato la possibilità di sfruttare i tempi lunghi e rilassati del podcast, dando nuova luce al codice talk, eliminando la formalità dell’ospitata classica e sfruttando la presenza del pubblico e i tempi comici della stand up. Anche per questo gli ospiti fanno a gomitate per partecipare, percependo chiaramente la freschezza della narrazione che i due comici propongono. Infatti la galleria di volti che hanno sfilato sul palco di Snodo, club romano ormai ex ambientazione del podcast data l’imminente chiusura, è di primissimo livello: da Gino Paoli ad Alessandro Cattelan a Linus, da Daria Bignardi a Paolo Rossi a Elio, da Serena Dandini a Paolo Sorrentino. Tinti e Rapone, reduci da una stagione particolarmente piena e felice, tra podcast, il debutto dello show In&Out su Sky Uno, già promosso da pubblico e critica, ed i singoli tour con i loro spettacoli di stand up, non fermeranno Tintoria durante l’estate, il podcast tornerà puntuale ogni martedì su YouTube e su tutte le principali piattaforme di streaming audio.Come scegliete gli ospiti per Tintoria?DT: «Sono ospiti che ci piacciono, non cerchiamo l’ospite col nome particolarmente grosso perché può portarci più ascolti, non ragioniamo così. Ospitiamo chi ci interessa, chi ci piace, se non ci dice niente lo rimbalziamo perché non avremmo niente da dirci»C’è un ospite che vi ha particolarmente sorpreso?DT: «Io dico Brunori, ci avevano detto che era simpatico, però Brunori fa il cantautore e i cantautori sono simpatici, ma simpatici “normali”. E invece lui ha proprio tempi comici, battute, riferimenti, quindi in quel senso una sorpresa. Anche con Fulminacci, che fa il cantautore, abbiamo parlato per mezz’ora di dentifrici, quello per me è oro… ma come fai a sapere che succederà quella cosa? Non si può. Quindi sì, ce ne sono state un po’ di sorprese. Ti dico queste due e mentre lo dico rifletto sul fatto che forse parto prevenuto nei confronti dei cantautori» (e ride)SR: «Io dico Ceccherini perché è stato il primo che ha cambiato anche la percezione di Tintoria, non ci aspettavamo una montagna russa di puntata. Prima si è riso parecchio, poi si è diventati tristi e usciva fuori il lato umano, poi si tornava di nuovo a cazzeggiare. Non me l’aspettavo, da lì mi sono un po’ tarato su quel tipo di puntata, è stata la prima che veramente mi ha sorpreso, che è stata veramente imprevedibile»Pensate che ci sarà un’evoluzione nel format in futuro? Daniele tu, per esempio, dichiari apertamente che la rubrica “Cacare in discoteca”, che è la preferita del pubblico, ormai ti ha annoiato…Tutti vorranno sapere se continuerà.DT: «Mi ha iniziato ad annoiare perché a me piace se il podcast rimane una conversazione e una chiacchiera. Sono orgoglioso della rubrica Cacare in discoteca, non rinnego nulla, però fare una domanda perché so che la devo fare, non perché mi va di farla, mi sembra che faccia perdere un po’ il senso di quello che stiamo facendo. Va detto che poi a volte invece l’ospite viene con la storia e a quel punto mi va di farla»Come state vivendo l’esperienza In&Out? È il primo vero spazio televisivo affidato alla vostra generazione di stand up comedian…SR: «Si è creato un clima molto creativo, molto stimolante. Molte cose sono, non dico improvvisate ma decise poco prima di registrarle. Per esempio, stavamo guardando le prove non ricordo di chi e Michela (Giraud) mi ha detto: “Ma facciamo che ti vendo all’asta?”. Anche il late Finalmente c’è Rapone è nato sul momento, non era previsto, ho pensato: “Nessuno mi darà mai un late show, facciamolo qua”. Avevamo questo spazio, dovevamo riempirlo, a volte l’abbiamo riempito noi con le nostre idee, alcune funzionate meglio, altre un po’ meno forse, però è stato bello perché ci ha permesso di sperimentare parecchio»La tv, i grandi teatri sold out, i podcast di successo, i libri (Stefano tra l’altro un candidato ufficiale al Premio Strega)SR: «Quasi vinto» (E ride)…ma voi vi aspettavate questo impatto della stand up sulla cultura italiana?DT: «Noi, intendo io, Stefano e tutti quelli che fanno stand-up in Italia, abbiamo proprio lavorato per questo. Abbiamo portato avanti questa cosa negli ultimi 15 anni con un metodo certosino, di locale in locale, di città in città. Soprattutto speriamo che le persone continuino a venire nei locali, perché è bellissimo riempire i grandi teatri, però è ancora più bello che la gente vada nei localetti piccoli a vedere sconosciuti. Ecco, finché le persone continuano ad andare a vedere i comici che si fanno un mazzo così per fare delle serate per 40 persone, allora la stand-up in Italia sarà al sicuro. Se ci sono solo i teatri pieni e i locali sono mezzi vuoti, allora vuol dire che le cose staranno cominciando ad andare un po’ male»Vi manca la dimensione dei piccoli locali?DT: «La cosa che mi manca è la spensieratezza con cui facevamo le cose, cioè quando sognavamo che diventasse il nostro lavoro e lavoravamo duro per realizzarlo. Adesso che è un lavoro le persone pagano un biglietto per venirti a vedere, hai una responsabilità. Prima invece provavamo a fare una cosa per cui non c’erano soldi, non c’era niente, c’eravamo solo noi che lo facevamo per passione»SR: «In Italia mancano i comedy club. Qui aprono dei posti che però dopo tre o quattro anni chiudono. Mi appello ai “Localari” affinché capiscano che – visto che comincia ad esserci un giro di pubblico e di comici – potrebbe essere il momento giusto per investire»Voi sentite nella vita di tutti i giorni la responsabilità di essere divertenti a tutti i costi?DT: «Col fatto che sfogo quel lato nel lavoro, poi nella vita sono ancora un discreto buffone, però meno di prima»SR: «Io la sento quasi più nelle interviste, in quella situazione percepisco che ci potrebbe essere un’aspettativa che però, tranquillamente, deludo»L'articolo Tinti e Rapone: «L’ospite più divertente? Brunori. Ceccherini ha cambiato la percezione di “Tintoria”» – L’intervista proviene da Open.