Il rapporto Ocse Employment Outlook 2025 lancia un chiaro allarme sull’Italia, con criticità che minacciano il potere d’acquisto dei cittadini e la stabilità economica a lungo termine. L’analisi rivela che il nostro Paese ha subito la maggiore diminuzione dei salari reali tra tutte le principali economie Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) e si trova davanti a una preoccupante crisi demografica che rischia di compromettere seriamente il Pil pro capite se l’Italia non ridurrà il divario occupazionale di genere e se non riuscirà a rimandare l’uscita dal mercato del lavoro degli occupati più anziani, suggerisce l’Ocse.Salari e potere d’acquisto – Nonostante una crescita relativamente solida nell’ultimo anno, all’inizio del 2025 i salari reali degli italiani erano ancora inferiori del 7,5% rispetto all’inizio del 2021: nessun altro Paese Ocse ha avuto una performance peggiore. Anche i rinnovi di alcuni importanti accordi collettivi, con i relativi aumenti salariali, non sono stati sufficienti a compensare la perdita di potere d’acquisto legata all’impennata dell’inflazione. Inoltre, rileva il rapporto, all’inizio del primo trimestre 2025 un dipendente su tre del settore privato era ancora coperto da un contratto collettivo scaduto. Secondo l’Ocse, la crescita dei salari reali rimarrà contenuta, con aumenti nominali proiettati al 2,6% nel 2025 e al 2,2% nel 2026, a fronte di un’inflazione attesa del 2,2% quest’anno e dell’1,8% l’anno prossimo.Invecchiamento demografico – Pur col rallentamento della crescita economica dalla fine del 2022, il mercato del lavoro italiano ha saputo reagire, scrive l’Organizzazione, raggiungendo livelli record di occupazione e minimi storici di inattività e disoccupazione, col tasso salito al 6,5% a maggio 2025, ma rimanendo inferiore rispetto al periodo pre-pandemico. Nondimeno, il tasso di occupazione (62,9% nel nel primo trimestre 2025) rimane significativamente inferiore alla media Ocse (70,4%). L’aumento dell’occupazione totale, tra l’altro, risente in particolare del contributo degli individui più anziani.Allarme demografico e il Pil – La principale preoccupazione dell’Ocse è però l’invecchiamento della popolazione. Quella in età lavorativa diminuirà del 34% tra il 2023 e il 2060. Di conseguenza, il numero di anziani a carico di ogni persona in età lavorativa aumenterà drasticamente, passando da un rapporto di uno ogni 2,4 lavoratori a uno ogni 1,3. In questo scenario, il Pil pro capite, assumendo una crescita annuale della produttività del lavoro stagnante (-0,31% in Italia nel periodo 2006-2019), diminuirà a un tasso annuale dello 0,67%. Per contrastare gli effetti negativi, dice l’Ocse, serve mobilitare risorse di lavoro inutilizzate: ridurre il divario occupazionale di genere e attivare lavoratori anziani sani, oltre a promuovere la migrazione regolare. Ma attenzione, questo permetterebbe solo di azzerare l’impatto negativo dell’invecchiamento demografico sul Pil pro capite. Per una crescita positiva, l’Italia dovrebbe aumentare la produttività.Disuguaglianze e nuove sfide – Il rapporto evidenzia infine un aumento della disuguaglianza intergenerazionale: nel 1995, i redditi dei giovani in età lavorativa (25-34 anni) erano superiori dell’1% rispetto agli anziani (55-64 anni), mentre nel 2016 la situazione si è invertita a favore dei secondi, che oggi hanno redditi superiori del 13,8%. L’estensione della vita lavorativa viene definito cruciale, non solo per sbloccare nuove risorse, ma anche per alleviare il peso sulle generazioni più giovani. Nonostante l’aumento dei tassi di occupazione per i lavoratori più anziani, grazie all’aumento delle età pensionabili, in Italia l’età media di uscita effettiva dal mercato del lavoro resta inferiore ai limiti previsti per legge, con un divario di 2 anni per le donne e 1 anno per gli uomini. Solo il 9,9% dei lavoratori italiani tra 50 e 69 anni continua a lavorare dopo la prima pensione, un dato basso rispetto alla media del 22,4% in altri 24 paesi Ocse europei. Numeri legati anche all’elevata quota di lavori fisicamente usuranti (42%) e la bassa percentuale di occupazioni altamente qualificate (40%).L'articolo Salari reali in picchiata: l’Italia perde il 7,5% dal 2021, il peggior crollo tra i Paesi Ocse. Il rapporto proviene da Il Fatto Quotidiano.