La spinta di Trump funziona. Investimenti record della farmaceutica negli Usa

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Da mesi il presidente Donald Trump ha rilanciato l’idea di introdurre tariffe doganali sui medicinali importati, parte di una strategia più ampia volta a rafforzare l’autosufficienza produttiva del Paese e ridurre il costo dei farmaci per i cittadini americani. Il settore, che in passato è spesso rimasto ai margini delle guerre commerciali, è ora al centro di una nuova agenda industriale. E le grandi multinazionali stanno moltiplicando gli annunci di nuovi investimenti sul suolo americano.INVESTIMENTI RECORDI piani di investimento dichiarati dalle principali aziende da quando il Tycoon è tornato alla Casa bianca superano i 300 miliardi di dollari. Johnson & Johnson ha annunciato quattro nuovi stabilimenti, portando a oltre 55 miliardi di dollari il totale degli investimenti previsti negli Stati Uniti nei prossimi quattro anni, la svizzera Roche ha promesso 50 miliardi, Bristol Myers Squibb ha messo sul tavolo altri 40 miliardi, la giapponese Takeda ha promesso 30 miliardi, Novartis investirà 23 miliardi per costruire sette nuovi impianti e ampliare ulteriori siti entro il 2030, Eli Lilly ha dichiarato piani per 27 miliardi di dollari, destinati anche alla costruzione di quattro nuovi plant produttivi, segue Sanofi con 20 miliardi, Gilead con 11 miliardi e, infine, Abbvie che ha presentato un piano da 10 miliardi. L’ultima, in ordine di tempo, è stata AstraZeneca, che ha comunicato un investimento di 50 miliardi di dollari per espandere la propria capacità produttiva e di ricerca negli Stati Uniti entro il 2030. Il piano include un nuovo impianto in Virginia e l’ampliamento delle attività in Maryland, Massachusetts, California, Indiana e Texas.IN COSA CONSISTE LA STRATEGIA USA?Il momento scelto per l’annuncio non è casuale. Avviene infatti mentre l’amministrazione Trump paventa l’opzione di imporre dazi fino al 200% sui prodotti farmaceutici, spingendo le aziende a produrre negli Stati Uniti i medicinali destinati al mercato domestico. A inizio aprile è arrivato il primo segnale chiaro in questa direzione, seguito da ulteriori dichiarazioni, controdichiarazioni e l’introduzione – tramite ordine esecutivo – della politica del “Paese più favorito”, di cui non sono ancora chiare le modalità di attuazione. Ieri sera – riporta Fox Business – intervenendo alla Casa bianca in un evento con esponenti repubblicani del Congresso e membri del suo Gabinetto, Trump ha ribadito che, se le aziende farmaceutiche e gli altri Paesi non sosterranno questa politica per ridurre i prezzi dei farmaci negli Stati Uniti, il commercio potrebbe diventare una leva di pressione. L’obiettivo dichiarato è quello allineare i prezzi statunitensi a quelli più bassi applicati nei Paesi sviluppati. “I prezzi saliranno nel resto del mondo – aveva affermato Trump lo scorso maggio – per equalizzare e, per la prima volta dopo anni, garantire equità agli Stati Uniti”. Proprio su questo concetto si è allineato anche il Ceo di Astrazeneca, Pascal Soriot, che annunciando i piani a Washington, secondo quanto riportato da Reuters avrebbe sottolineato anch’egli la necessità di equalizzare i prezzi con gli altri paesi. “Gli Stati Uniti non possono continuare a sostenere da soli il peso dell’innovazione per il mondo intero”, ha dichiarato.L’EUROPA ANCORA IN CERCA DI UN PIANOLa strategia di Trump sta quindi producendo un effetto tangibile. La manifattura farmaceutica sta tornando negli Stati Uniti, con una spinta che sta ridisegnando la geografia dell’industria. Il contrasto con l’Europa è netto. Da un lato, un’America che – al di là della retorica – sembra riuscire ad attrarre investimenti reali. Dall’altro, un’Unione europea ancora in cerca di una strategia, in un clima di alta incertezza che pesa su industria e innovazione. La riforma della legislazione farmaceutica, molto criticata dal settore, e il dibattito ancora aperto su una vera “life science strategy” comune rischiano di non essere sufficienti a evitare che il Vecchio Continente perda terreno.