Dazi che sembrano sanzioni. Rixi, ‘Europa prima vittima’

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di Daniela Binello –Alle assemblee confindustriali del settore dei trasporti marittimi, a Napoli e a Roma, il viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Edoardo Rixi, ha detto che l’Italia, nel Mediterraneo, potrebbe diventare un hub strategico per il traffico merci e passeggeri in Europa. Il problema, secondo lui, è che si dovrebbero ripensare le infrastrutture di cui disponiamo, come porti e scali, soprattutto alla luce delle nuove dinamiche geopolitiche. Al convegno L’economia del mare nei nuovi scenari di guerra, promosso dal Salotto think tank Core, dove noi l’abbiamo intervistato, Rixi ci ha dato la sua ricetta di resilienza sui dazi.– Prevede altri dazi se i due principali conflitti armati non cesseranno?“I dazi sono il sintomo di un male molto più profondo che ha oggi il sistema economico mondiale, perché i conflitti hanno generato una distorsione che sta spingendo l’Occidente a riportare in casa le produzioni. Questo è il motivo per cui gli Stati Uniti stanno passando da una politica che era basata sui flussi finanziari a un tentativo di reindustrializzazione. Quindi sì, ci saranno tensioni”.– Quanto soffrirà l’Europa?“L’Europa è la prima vittima, perché purtroppo è stato anche il primo carnefice negli ultimi vent’anni. Una fortezza che si è chiusa in una bolla pensando di essere autosufficiente a livello mondiale e si accorge oggi, invece, che dopo la guerra in Ucraina tutto quello che entra e esce nel continente lo fa via mare, per la necessità di approvvigionarsi di materie prime e semilavorati, che arrivano da tutto il mondo. Questa debolezza ci rende vulnerabili, anche nei confronti degli Usa a cui abbiamo appaltato tutto il sistema di difesa, soprattutto nucleare. Il posizionamento europeo negli ultimi decenni è scivolato verso la Cina, dalla Via della Seta in poi, provocando l’irrigidimento statunitense”.– E’ in fieri una negoziazione con Washington. Si potranno ottenere misure meno draconiane?“Alla fine si troverà un punto di mediazione, ma i problemi sono i sintomi di malattie molto più profonde, frutto di scelte sbagliate, a iniziare da alcune visioni europee. Ad esempio sulla produzione energetica, con misure che hanno depauperato capacità come quella nucleare, che rappresenterebbe a livello potenziale un’indipendenza energetica, mentre oggi dipendiamo dagli idrocarburi, che si trovano in territori che non siamo in grado di controllare politicamente. E poi, parliamoci chiaro, l’Ue è di una lentezza unica nel prendere decisioni. Risultiamo resilienti più o meno come le cozze sugli scogli, che rimangono ferme, senza sfruttare le opportunità offerte dal mare”.– Pertanto lei cosa farebbe in materia di dazi?“Noi dovremmo da un lato cogliere quelle che possono essere delle opportunità e dall’altro cercare di minimizzare i rischi. Se ci chiudessimo banalmente nello status quo, il nostro sistema rischierebbe un ulteriore peggioramento di quelli che sono i coefficienti base del sistema economico europeo. Stiamo parlando dell’unico continente che negli ultimi decenni non è cresciuto, a differenza del Sudest asiatico e dell’Africa, ma anche dell’America. Sul piano concreto bisogna mantenere il dialogo con gli Usa, senza smettere di cercare mercati alternativi sulle produzioni, ma le sovratassazioni europee vanno ripensate. Penso a tasse come le Ets, le quote di emissione di gas a effetto serra che l’Ue ha imposto come principale strumento per raggiungere gli obiettivi di riduzione della CO2 nei settori industriali”.– Ritiene che si potrà chiudere con Washington con i dazi al 10%?“Non lo sappiamo ancora, ma mi faccia dire che io non credo che il dazio servirà al sistema economico americano, oltre al fatto che nello spirito sembra una sanzione, più che un dazio”.