Ursula von der Leyen ha presentato, nei giorni scorsi, la proposta di bilancio pluriennale della Commissione per il periodo 2028-2034, definendolo “ambizioso e flessibile”. In effetti, si tratta di un bilancio di quasi 2 mila miliardi, a fronte di quello attuale (2021-2027) che è arrivato a un totale di 1.216 miliardi di euro (se non si considerano gli 807 miliardi di euro del Next Generation Eu e i 64,6 miliardi per il sostegno all’Ucraina, migrazione e partenariati internazionali).In realtà, la strada per il nuovo bilancio è stata aperta dalla Commissione con il documento presentato nel febbraio di quest’anno, in cui erano presenti alcuni indirizzi di fondo che sono confermati nella proposta: maggiore attenzione ai risultati per allineare gli obiettivi di spesa con quelli delle politiche UE; più flessibilità, per tener conto dell’esperienza del bilancio attuale, che è molto cresciuto in corso d’opera per rispondere alle esigenze del momento; impegno alla semplificazione. Ma la vera scelta strategica della Commissione per il nuovo bilancio è quella di fondarlo su tre pilastri. Il primo è quello dei ‘partenariati nazionali e regionali, per un valore totale di 865 miliardi di euro. Nasce dalla fusione delle due principali dotazioni del bilancio: la Politica agricola comune, e i Fondi di coesione.Questa fusione, peraltro, si associa ad un notevole ridimensionamento dei fondi per questi settori, che rappresentano oggi circa il 60% degli stanziamenti totali del bilancio. Anche se la Commissione assicura che l’ammontare minimo dei pagamenti diretti agli agricoltori sarà di 300 miliardi di euro, è già cominciata la reazione dei Paesi più colpiti dai tagli. Non c’è dubbio, però, che dietro questa scelta c’è un’idea precisa, quella di allineare la spesa europea, in particolare per la politica di coesione, alle priorità di policy dell’Ue. Per farlo, viene proposto un piano per ciascun Paese, con riforme e investimenti chiave e incentrato sulle priorità comuni.È un punto che ha sollevato molta discussione, perché, anche se consente di introdurre criteri comuni di spesa, privilegia la costruzione di piani nazionali mettendo, in secondo piano i progetti comuni. Allo stesso tempo, però, permette, in principio, di costruire un strategia unitaria di policy. Il secondo pilastro è il Fondo europeo per la competitività, del valore di 410 miliardi di euro. Il fondo è destinato a fare leva sul capitale privato per massimizzare l’effetto del denaro pubblico, spesso criticato perché insufficiente. Ed è una risposta appropriata alle sollecitazioni di Mario Draghi a favore di investimenti consistenti che usino l’ampio risparmio privato europeo che oggi si trasferisce all’estero.Il terzo pilastro riunisce tutti gli strumenti di politica estera nell’ambito dell’Europa globale, per un ammontare di 200 miliardi di euro. Il programma per l’Ucraina prevede un fondo di 100 miliardi di euro dedicato esclusivamente a sostenere la ripresa e la ricostruzione. Global Gateway e politica per il Mediterraneo sono iniziative che consentiranno all’Europa di valorizzare la sua azione all’estero con consistenti programmi di investimento. È prevista, infine, la creazione di un ‘meccanismo’ di risposta alle crisi – perché ormai la crisi è la norma, non l’eccezione, con garanzie e regole chiare per l’attivazione.In conclusione, la Commissione fa un atto di coraggio proponendo una strategia concentrata su 3 aree di intervento soltanto, con una governance dei fondi, va sottolineato, legata a una programmazione nazionale unica, che si ispira al modello del Next Generation Eu. C’è da aspettarsi, nei due anni che mancano all’approvazione definitiva del Piano in sede di Consiglio e di Parlamento europeo, un tiro incrociato da parte dei Paesi che si sentono danneggiati da questo modello. Tanto più se si tiene presente l’impegno previsto dal Piano di Difesa presentato dalla presidente von der Leyen che è pari a 150 miliardi in eurobond, con garanzia del bilancio Ue, e quello per l’Ucraina per 100 miliardi.Ma la difesa è un bene pubblico primario e come tale irrinunciabile nella prospettiva di un ruolo internazionale dell’Europa. Anche se si tratta di un impegno che deve essere conciliato, come dice la Risoluzione di aprile scorso del Parlamento, con l’esigenza primaria di finanziare gli interventi prospettati dai Rapporti Letta e Draghi. Ben sappiamo che un bilancio di poco più dell’1% del Pil totale dell’area è poca cosa. Se ne discute da sempre, ma senza arrivare a modifiche sostanziali, tanto che la proposta di un bilancio di 2000 miliardi viene definita ambiziosa.C’è l’esigenza di fronteggiare il debito acceso per il Next Generation Eu, ma anche quella di provvedere agli impegni presi in materia di difesa (senza contare quelli legati all’eventuale allargamento dell’Unione), tenendo conto che già oggi con il NgEu si è passati dall’1% a quasi il 2% del PIL dell’area.Circa il rimborso del debito contratto, Mario Draghi aveva proposto di provvedere alla restituzione con l’emissione annuale di un asset ‘sicuro’, rinviando così la spesa (149 miliardi a prezzi costanti). La scelta della Commissione di provvedere alla restituzione con le risorse di bilancio riduce decisamente la dimensione di quelle disponibili per i programmi dei prossimi sette anni.Tutto ciò apre il discorso dell’aumento delle risorse proprie e del trade-off tra le esigenze di ieri e quelle di oggi. La Commissione ha risposto con la proposta di nuove tasse sui rifiuti elettrici, sul tabacco e sui profitti delle imprese, per consentire a Bruxelles di raccogliere ulteriori entrate.Il Parlamento, nella sua Risoluzione del 23 aprile scorso, ha sottolineato la necessità di un bilancio ambizioso, ben al di là dell’1% su cui sono fondate, da decenni, le finanze dell’Unione europea, per far fronte alle crisi e alle nuove sfide. Ha proposto l’introduzione di risorse proprie e l’adozione di prestiti europei per finanziare non solo la difesa comune. ma anche la transizione ecologica e la coesione sociale. Il Parlamento è, ovviamente, essenziale per l’adozione con criteri democratici di nuovi tributi.Quali nuovi tributi europei? Le ipotesi per nuovi tributi sono quelle della destinazione al bilancio del 30% dei proventi sulle quote di emissione del carbonio, del 75% sul carbone alla frontiera (Cbam), nonché di un’imposta del 15% degli utili delle imprese multinazionali. Però, perché realisticamente si possa procedere nel Consiglio europeo alle decisioni necessarie, serve il voto a maggioranza qualificata, piuttosto che quello all’unanimità. Senza passare per un’irrealistica riforma dei Trattati, ci sono le strade per realizzare quest’ obiettivo, a cominciare dalle cooperazioni rafforzate e dall’utilizzo delle clausole passerella. Quello che è certo, è che senza debito comune e adeguate risorse proprie non si potrà avere un’Europa capace di confrontarsi con le grandi sfide di questo momento storico.