Un sistema di produzione composto da “catene di appalti che per garantire il profitto si basano sullo sfruttamento dei lavoratori con condizioni di lavoro irregolari, basse retribuzioni, contribuzioni non versate, inadempienza delle norme sulla sicurezza”. È con queste parole che il deputato Marco Grimaldi (Alleanza Verdi e Sinistra) ha portato oggi alla Camera, durante il Question Time, il problema delle condizioni di lavoro nella moda italiana direttamente sul tavolo della ministra del Lavoro, Marina Calderone. Una domanda che arriva al culmine di mesi di inchieste giudiziarie e giornalistiche che hanno messo in luce un sistema di “caporalato e condizioni di sfruttamento inaccettabili” nelle filiere produttive di alcuni dei più grandi nomi del lusso globale, tra cui Loro Piana e Giorgio Armani Operations (entrambe poste in amministrazione giudiziaria), ma con indagini che negli ultimi mesi hanno toccato anche Dior e Valentino, e vertenze sindacali accese come quella alla Manifattura San Maurizio del gruppo Max Mara. Il quadro che emerge, caso dopo caso, è quello di un’intera industria che fa sistematicamente ricorso al caporalato, all’elusione dei controlli e al dumping contrattuale per restare competitiva sui mercati globali.La risposta della ministra Calderone è stata netta: da parte del governo “c’è la massima attenzione a essere intransigenti verso chi usa forme improprie di lavoro o sfrutta i lavoratori”. Quindi ha elencato una serie di misure già in campo e in fase di potenziamento: dall’assunzione di 500 nuovi ispettori per INPS e INAIL al ripristino del reato penale sulla somministrazione illecita di manodopera, fino a una misura sociale come l’estensione dell’assegno di inclusione per le vittime di caporalato che denunciano e collaborano con la giustizia. “Dietro alle situazioni che emergono c’è un lavoro di intelligence e di sensibilizzazione”, ha sottolineato la ministra, ricordando che spesso le indagini partono proprio dalle denunce dei lavoratori sfruttati.Tutto questo arriva all’indomani del Tavolo della Moda convocato ieri presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy. In quell’occasione, il ministro Adolfo Urso ha annunciato che il governo “sta lavorando a una norma per certificare la sostenibilità e la legalità delle imprese del settore, con l’obiettivo di offrire una soluzione strutturale al problema”. La norma, ha spiegato, mirerebbe a certificare la filiera che fa capo al titolare del brand, in modo da escluderlo da responsabilità per illeciti dei fornitori, a patto che siano state fatte le dovute verifiche preventive. Ma le parti sociali presenti al tavolo hanno mostrato un profondo scetticismo. Le segreterie nazionali di Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil hanno dichiarato: “Cominciamo ad avere qualche perplessità sull’efficacia di questi incontri. Mentre ragioniamo, assistiamo a fenomeni di illegalità. Loro Piana è solo l’ultimo caso ed è sconcertante che gli attori istituzionali non siano in grado di costruire un sistema obbligatorio di certificazione della legalità su scala nazionale”. I sindacati hanno anche sollevato dubbi sull’etichettatura digitale, chiedendo una revisione dei criteri del “Made in Italy”, che oggi può essere attribuito anche solo per l’ultima fase di lavorazione.Il sistema sotto inchiesta: da Loro Piana a Max MaraAl centro della discussione politica c’è il caso Loro Piana. Il Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria per un anno: secondo l’inchiesta, il brand avrebbe esternalizzato la produzione attraverso una catena di subappalti che ha coinvolto società prive di capacità produttiva, che a loro volta affidavano le lavorazioni a laboratori irregolari, spesso gestiti da imprenditori cinesi. Sono emersi turni prolungati, retribuzioni sotto i minimi contrattuali, evasione contributiva, violazioni delle norme di sicurezza e condizioni abitative precarie per i lavoratori. In precedenza, anche Giorgio Armani Operations Spa era stata posta sotto amministrazione giudiziaria per non aver adottato misure di controllo efficaci contro lo sfruttamento nei laboratori esterni. Indagini simili hanno coinvolto fornitori di Dior, Valentino e Z Production (fornitrice di Montblanc). Parallelamente, anche il gruppo Max Mara è finito sotto i riflettori per irregolarità nelle condizioni di lavoro presso la Manifattura San Maurizio di Reggio Emilia. In quel caso, le denunce delle lavoratrici hanno portato in piazza il tema della dignità nel lavoro e il ruolo dei grandi brandLe richieste: controlli, tracciabilità, tuteleConfindustria Moda, tramite il presidente Luca Sburlati, ha rilanciato la richiesta di un “piano industriale strutturale per il sistema moda italiano”, che coinvolga l’intera filiera, valorizzi il commercio e incentivi l’aggregazione e l’innovazione. Ha proposto un credito d’imposta strutturale per i campionari e un protocollo nazionale di auditing unico per la tracciabilità e la trasparenza negli appalti. “Legalità significa difendere l’identità economica e sociale della moda italiana”, ha dichiarato Sburlati, chiedendo una rapida approvazione del decreto sull’EPR tessile per favorire il riuso e il riciclo. “Il sistema moda ha bisogno di un piano di medio-lungo periodo, non solo di interventi emergenziali – ha chiosato -. I dati relativi ai primi quattro mesi del 2025 sono allarmanti: l’export registra un calo superiore al 3,3%, mentre l’import cresce del 5,6%, con un’impennata del +24% dalle sole importazioni cinesi. Questo si traduce in una perdita vicina al 10% della nostra bilancia commerciale”. Anche dai sindacati è arrivata una richiesta precisa: un sistema vincolante di certificazione legale su scala nazionale, che assicuri il rispetto dei contratti collettivi, il pagamento dei contributi, la sicurezza sul lavoro e la tracciabilità dell’intera filiera. La crisi del settore – dicono – non è solo congiunturale, ma richiede una riforma del modello produttivo, a partire dai criteri che definiscono la qualità del lavoro e l’origine di un prodotto.L'articolo Caporalato e sfruttamento dei lavoratori da parte dei marchi del lusso, la ministra Calderone in Aula dopo il caso Loro Piana: “Saremo intransigenti” proviene da Il Fatto Quotidiano.