Perché la riforma sulle carriere è (già) una buona notizia. Parla Guzzetta

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Separazione sia. Dopo decenni di discussioni rimaste sospese tra convegni e verbali parlamentari, la riforma sulla separazione delle carriere dei magistrati ha compiuto un primo passo formale: ieri il Senato ha approvato in prima lettura il disegno di legge che distingue in via definitiva la magistratura giudicante da quella requirente. Il provvedimento, fortemente voluto dalla maggioranza, prevede due Consigli Superiori della Magistratura, un organo autonomo per la disciplina, e l’introduzione di un meccanismo di sorteggio per l’elezione dei membri togati e laici. È una riforma che riapre un confronto antico, ma lo porta su un terreno normativo concreto. E apre la strada a un referendum che, se confermato, potrebbe rappresentare uno spartiacque istituzionale. Ne abbiamo parlato con il giurista ordinario a Tor Vergata di diritto costituzionale, Giovanni Guzzetta, che osserva la materia da una prospettiva tecnica e costituzionale, riconoscendo che “l’essere arrivati a un testo approvato in prima lettura dal Senato rappresenta un passo avanti significativo dopo decenni di dibattiti puramente verbali”.Professore, la separazione delle carriere è finalmente diventata un testo. Cosa cambia?Comunque vada a finire, probabilmente ci sarà un referendum. Ma il punto è che il tema è stato finalmente messo nero su bianco. È un fatto di chiarezza dopo decenni di dibattiti astratti. È positivo che la questione sia all’ordine del giorno, non più relegata a mozioni e discussioni senza seguito o a talk show.In termini tecnici, cosa comporta questa riforma?Separare le carriere significa distinguere nettamente tra chi esercita l’accusa e chi è chiamato a giudicare. Non si tratta solo di impedire il passaggio da una funzione all’altra, ma di riformare l’intero assetto del Csm. Le carriere saranno autonome: due Csm distinti, uno per i giudicanti e uno per i requirenti. Si elimina così qualunque condizionamento, anche solo potenziale, tra le due funzioni, per esempio nelle decisioni sulle carriere dei magistrati.Si introduce anche un organo autonomo per la disciplina. Una scelta condivisibile?Sì, è una decisione possibile e coerente. L’obiettivo è sottrarre la funzione disciplinare allo stesso organo che gestisce le carriere. In questo modo si intende assicurare una maggiore imparzialità nei procedimenti disciplinari. È un passaggio delicato, una delle opzioni possibili, ma ha una sua coerenza.Il sorteggio per l’elezione dei componenti del Csm è forse il punto più discusso. Come lo valuta?È una scelta politica, ma con una logica riconoscibile: evitare che la logica delle correnti condizioni anche la composizione degli organi di autogoverno. Il punto critico sarà il sorteggio dei membri laici. Se non regolato con precisione, rischia di generare comunque una selezione politicamente sbilanciata. La sorte può essere politicamente sbilanciata: ad esempio alterare l’equilibrio tra candidati di espressione della maggioranza e quelli espressione della minoranza. La neutralità del sorteggio non è automatica. Ciò detto, trattandosi di selezionare soggetti che offrono garanzie in ragione della loro necessaria qualificazione tecnica. L’effetto è contenibile, e potrebbe migliorare la qualità complessiva dei prescelti.Sul piano del calendario parlamentare, ci sono margini per l’approvazione definitiva?Sì. Questa riforma ha i tempi tecnici per essere varata con certezza. Se non ci saranno intoppi, da fine ottobre potrebbe essere approvata in via definitiva.Il referendum è una scelta conveniente per l’esecutivo?È sempre una doppia occasione. Da un lato un rischio, dall’altro una legittimazione democratica più forte. Sarà una sfida anche culturale, perché costringerà il Paese a prendere posizione su un tema che per troppo tempo è stato lasciato sospeso.Dal punto di vista costituzionale, la riforma è compatibile?Assolutamente sì. L’Assemblea costituente fece una scelta provvisoria, non definitiva. Questa riforma intercetta un problema reale e offre una soluzione che si muove dentro i margini della Costituzione. Lo ha ricordato più volte la Corte Costituzionale. Non si stravolge nulla, ma si rafforza un principio: chi accusa non può essere anche giudice.