AGI - La pratica a tutela di Raffaele Piccirillo - il sostituto procuratore della Cassazione attaccato dal ministro della Giustizia Carlo Nordio per un intervento sul caso Almasri - è stata approvata dal plenum del Csm a maggioranza con 5 voti contrari (quelli dei consiglieri laici di centrodestra Aimi, Bertolini, Bianchini, Eccher e Giuffrè). Unica astenuta la consigliera togata Bernadette Nicotra che non aveva firmato la richiesta di apertura della pratica. Il Consiglio superiore della magistratura "rileva la gravità delle affermazioni rese dal ministro della Giustizia - si legge nella delibera - per il loro potenziale impatto sulla fiducia dei cittadini nella funzione giudiziaria; ritiene che esse siano idonee a condizionare il sereno e indipendente esercizio della giurisdizione; afferma, pertanto, la necessità, nell'ambito dei propri compiti costituzionali, di tutelare il prestigio dell'ordine giudiziario, rinnovando il richiamo al rispetto dei principi di autonomia, indipendenza e leale collaborazione tra i poteri dello Stato". In particolare, le dichiarazioni rese dal ministro Nordio nel corso dell'evento 'Parlate di mafia' "per contenuto e per contesto, eccedono i limiti del legittimo dibattito politico e istituzionale e risultano gravemente lesive dell'autonomia della giurisdizione e della sua immagine presso l'opinione pubblica. In particolare, l'allusione a una giurisdizione disciplinare controllata da logiche correntizie e incapace di garantire imparzialità, non è fondata su alcun dato oggettivo e si risolve in una gratuita e pregiudiziale denigrazione che mina la credibilità di una funzione prevista dall'articolo 105 della Costituzione. Analogamente colpiscono l'ironia denigratoria e le annunciate iniziative disciplinari rivolte dal ministro della Giustizia a un magistrato della Repubblica per avere espresso, nell'ambito di un'intervista giornalistica, considerazioni tecniche e misurate, ovviamente opinabili, su un procedimento di interesse pubblico". "Queste esternazioni, provenienti da un rappresentante dell'esecutivo, intendono condizionare il diritto di manifestare il proprio pensiero da parte di un magistrato, insinuando un'incompatibilità assoluta tra libertà di parola e l'appartenenza all'ordine giudiziario. Un simile approccio contraddice la previsione dell'articolo 21 della Costituzione, secondo cui anche i magistrati, in quanto cittadini e soggetti pubblici, hanno diritto di contribuire al dibattito pubblico tanto più su temi che riguardano la giurisdizione e osservando i limiti fissati dall'ordinamento".