Rivolta in Indonesia: studenti, donne e lavoratori in piazza contro oligarchia, sprechi e repressione gestita dai corpi paramilitari

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Dal 25 agosto l’Indonesia è scivolata nel più violento conflitto sociale degli ultimi vent’anni. Da Giacarta le proteste contro il governo sono dilagate in tutte le regioni del paese. Tra le richieste principali spiccano la fine dell’oligarchia politica e la cessazione delle pratiche estrattiviste nelle miniere. Durante gli scontri dieci manifestanti sono stati uccisi e migliaia di persone sono state arrestate e detenute arbitrariamente. Il 29 agosto, durante una manifestazione, il tassista di vent’anni Affan Kurniawan è stato investito da un blindato da 14 tonnellate dei corpi para-militari (Brimob) e trascinato per diversi metri mentre i presenti cercavano di bloccare il veicolo. Nei giorni successivi, altri due manifestanti sono stati uccisi negli scontri con le forze dell’ordine. L’omicidio di Kurniawan ha inasprito ulteriormente le tensioni, rafforzando la partecipazione dei movimenti studenteschi e allargando le rivendicazioni a livello nazionale.Il ruolo della Brimob nelle recenti proteste è essenziale per comprendere le radici coloniali del conflitto in corso. Risalgono infatti al 1944, durante l’occupazione giapponese, quando fu istituita con il nome di Tokubetsu Keisatsutai. Dopo l’indipendenza, è diventata il precursore della Polizia Nazionale Indonesiana. Si è poi rapidamente evoluta in una forza paramilitare incaricata di perseguire i nemici dello Stato, dai comunisti ai separatisti. Già nel 1959 era addestrata dagli Stati Uniti e nei decenni ha avuto un ruolo centrale nel reprimere il dissenso comunista nella regione. Nei primi anni del 2000 sono state documentate diverse violazioni di diritti umani da parte della Brimob nella Papua occidentale e in Timor Est. Da quando la dittatura militare di Suharto è finita nel 1998, la Brimob ha rafforzato la sua influenza. Sotto l’ex presidente Joko Widodo e con l’ascesa del suo ex ministro della difesa, l’ora presidente Prabowo Subianto, la polizia indonesiana è diventata sempre più militarizzata. In queste settimane le tattiche repressive e l’impunità dei corpi paramilitari stanno influenzando profondamente l’escalation del conflitto. “Temiamo la legge marziale”, afferma Andhika Wirawan, professore all’Università di Pembangunan Jaya.L’ondata di proteste è iniziata sin dall’insediamento del presidente Subianto, lo scorso ottobre. I movimenti come “Indonesia Galp” e “Dark Indonesia” hanno guidato la mobilitazione, inizialmente pacifica e incentrata sull’aumento dei salari e contro l’impennata delle tasse, la precarietà lavorativa, il nepotismo e la brutalità della polizia. Il 25 agosto, a Giacarta, le proteste sono esplose con incendi a edifici pubblici, inclusa la sede del Parlamento, il DPR. Il governo aveva promesso di tagliare 19 miliardi di dollari in “spese inutili” per finanziare un programma di pasti gratuiti per studenti, ma i tagli hanno colpito settori come sanità e istruzione, provocando un aumento delle tasse fino al 250% in alcune città. Allo sciopero nazionale del 28 agosto, il governo ha risposto schierando oltre 1.200 agenti e usando idranti e lacrimogeni. In risposta alle critiche, il presidente ha revocato l’indennità per l’alloggio dei parlamentari, pari a dieci volte il salario minimo di Giacarta. Il 6 settembre, nel Sud Sulawesi, i manifestanti hanno incendiato il Parlamento di Makassar e la sede della polizia.Nelle settimane le proteste si sono intensificate e allargate: dal coinvolgere per lo più giovani studenti, ora migliaia di donne, spesso organizzate con il nome di “Brave Pink”, stanno partecipando agli scontri, sotto lo slogan “spazzare via il marcio dello stato e la repressione poliziesca”. Un simbolo inatteso è emerso tra i manifestanti: la bandiera dell’anime giapponese One Piece, diventata emblema delle rivolte. Oltre all’annullamento dei tagli, i movimenti chiedono nuove leggi su beni sequestrati, diritti dei lavoratori, tutela delle comunità indigene e maggiore trasparenza sugli stipendi istituzionali. Anche le diaspore indonesiane all’estero – in Australia, Stati Uniti, Europa e Inghilterra – si sono mobilitate online e in piazza in solidarietà, sostenendo il manifesto “17+8”, che include, tra le richieste a lungo termine, la fine del coinvolgimento militare nella sicurezza civile e la creazione di una commissione indipendente per i diritti umani. Al momento cinque ministri – tra cui Sicurezza e Finanze – sono stati sostituiti e il capo della polizia responsabile dell’uccisione di Kurniawan è stato rimosso dal suo ruolo.L'articolo Rivolta in Indonesia: studenti, donne e lavoratori in piazza contro oligarchia, sprechi e repressione gestita dai corpi paramilitari proviene da Il Fatto Quotidiano.