Cosa resta all’Italbasket dell’era Pozzecco? Più cuore che testa, alla fine i suoi limiti hanno superato l’impatto emotivo

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Una montagna russa di emozioni, per un giro finale che paga il conto di una gestione (tattica) fragile e incompiuta. Una squadra coesa e resiliente, ma con l’impressione di non aver espresso tutto il proprio potenziale. L’era di Gianmarco Pozzecco sulla panchina dell’Italia si è conclusa con l’eliminazione agli ottavi di finale di un Europeo che lascia tante perplessità. E la domanda sorge spontanea: cosa non è andato? “Non me ne frega un c***o di quale tipo di allenatore sono, non mi concentro sulla mia carriera, non mi importa cosa pensiate di me. Sono concentrato solo su di loro, e oggi sono molto triste perché li vedo soffrire, non perché ho perso. Come gli ho detto negli spogliatoi, nessuno li amerà quanto me. Magari troveranno un allenatore con lo stesso mio amore, ma non di più di me”. Perfetto riassunto di un quadro vivace, ma disordinato. Pozzecco lascia a modo suo, ma con tanti punti interrogativi. Trasportato da limiti evidenti che con il tempo si sono rivelati più forti del suo impatto emotivo.Coesione e senso di appartenenza: la bella Italia del PozUna cosa è certa: Pozzecco è stata la scossa emotiva di un movimento – quello cestistico – che prima del suo arrivo stava perdendo appeal. Con la sua presenza è riuscito a ridare dignità e passione creando un forte senso di appartenenza e un legame con i giocatori che difficilmente si vede in altri sport. Traghettatore emotivo e protagonista dai mille volti: con lui in panchina, gli Azzurri non si sono mai annoiati. E ogni suo gesto, o dichiarazione, è sempre stato motivo di dibattito. Così come sono state onorevoli (e per nulla scontate se pensiamo al mondo del calcio) le sue dimissioni nel post-partita. Decisioni forti di un allenatore che non si è mai voluto nascondere e non ha mai mentito. Ma il conto da pagare è un altro.Tattica sterile e gestione contorta: i limiti dell’era PozzeccoLa grinta e la scossa emotiva non hanno coperto fino in fondo le discutibili scelte del “Poz”. In campo e in panchina. E questa è stata una costante che ha condizionato l’ultimo Europeo azzurro: mascherati dalle vittorie conquistate per merito (soprattutto) dei singoli, i limiti gestionali dell’ormai ex ct si sono presentati uno dopo l’altro contro la Slovenia. Il non gioco alla lunga è stato un fattore: poche idee e confuse – con l’obiettivo primario di trovare per forza il tiro da fuori – non hanno aiutato una Nazionale con interpreti dalle caratteristiche ben precise. Che, se innescate, nel modo giusto avrebbero potuto davvero fare la differenza. Rimontare ogni partita (dopo un inizio sempre lento) raccontano di una squadra che ha dimostrato di avere grande carattere, ma bloccata sempre dagli stessi errori tecnici e tattici. E a volte, il caos in campo è stata la conseguenza di un disordine spiegato maldestramente anche a parole (ricordate il famoso tim eout chiamato durante la Spagna diventato ormai un meme? “Adesso giochiamo…giochiamo…giochiamo”) e nella gestione. Perché Procida ha trascorso più minuti in panchina che in campo? Perché l’unico attaccante puro, come Danilo Gallinari, è stato buttato nella mischia senza che gli venisse attribuito un ruolo tecnico ben preciso? Domande e considerazioni che distinguono il buon allenatore da un grande allenatore, in un ruolo in cui i dettagli fanno la differenza. Poche alternative offensive e azzardi difensivi (se pensiamo all’ultima e decisiva eliminazione) sono il perfetto manifesto di un’era che si è conclusa con l’amaro in bocca. Poi c’è un carattere tanto contagioso quanto dannoso che ha rischiato di compromettere troppe partite. Pozzecco, anche da giocatore, è sempre stato così: o lo ami, o lo odi. I falli tecnici e le espulsioni collezionate negli anni sono segno di un’esuberanza che per una Nazionale fanno più male che bene. Per un atteggiamento che, alla lunga, rischia di stufare. E per una visceralità che più volte lo ha tradito davanti a un incarico che forse è stato troppo più grande di lui. Dando quasi l’impressione di non reggere la pressione.L’Europeo peggiore degli ultimi 60 anniNon si tratta solo “di giocare male”. Anche i risultati non sono stati all’altezza. E rispetto ai suoi predecessori, Pozzecco è riuscito anche a far peggio: l’undicesimo posto nella fase finale di EuroBasket è stato il peggiore piazzamento degli ultimi 60 anni (insieme a quello del 2011). Incapacità o sfortuna? Forse, entrambi. Ma una cosa è certa: quando c’è da compiere il definitivo salto di qualità, manca sempre qualcosa. Che sia un rimbalzo preso in meno, una difesa fatta male o una scelta offensiva frettolosa. La Nazionale di Pozzecco è stata un costante “vorrei ma non posso”. O meglio “vorrei ma non riesco”. Un pensare più con il cuore che con la testa che di fatto ha sempre pagato (in negativo).Da dove ripartireL’Italia è ora costretta a ripartire. Con idee, motivazioni e un ct nuovo e adeguato. Sotto tutti i punti di vista. Con un roster pronto al ricambio generazionale e ricco di giovani (Niang, Procida e Diouf su tutti), ripartire con una rinnovata e credibile figura sarà il punto di partenza. Parola d’ordine “osare” guardando oltre, o meglio sperimentare il talento in casa per dargli la giusta (e meritata) occasione. Perché i risultati estivi delle giovanili (oro Under 20 e bronzo Under 18) non sono stati un caso. Tre anni di vittorie esaltanti e sconfitte imprevedibili (alcune evitabili). Un gruppo vero e talentuoso limitato (anche) dal suo stesso ct. La scossa emotiva si è lentamente trasformata in una resa nobile e un addio necessario. Pozzecco lascia la panchina della Nazionale e l’Italia perde un personaggio sincero e irripetibile, forse non perfetto per questo ruolo. E a mente fredda, per il bene di tutti, è stato giusto così. Ora non si aspetta altro che l’ennesima rivoluzione.L'articolo Cosa resta all’Italbasket dell’era Pozzecco? Più cuore che testa, alla fine i suoi limiti hanno superato l’impatto emotivo proviene da Il Fatto Quotidiano.