“Oggi il peccato mortale di chi fa informazione è annoiare il prossimo. Spesso l’informazione televisiva, soprattutto quella del servizio pubblico, è noiosa. Non è tele-Meloni, è tele-Noia“. Così Antonio Padellaro, co-fondatore del Fatto Quotidiano, ha commentato il linguaggio dei talk show politici dei palinsesti televisivi italiani, nel corso del suo intervento alla festa del giornale, in programma al Circo Massimo fino a domenica 14 settembre. Sul palco, in dialogo con la giornalista Manuela Moreno, conduttrice del talk Filorosso su Rai Tre, Padellaro ha presentato il suo ultimo libro, Antifascisti immaginari, edito da Paper First.Moreno ha esordito chiedendo al giornalista il ruolo dei talk show politici nella rappresentazione della società e nel rapporto con l’opinione pubblica: “C’è evidentemente uno sganciamento tra quello che è il telespettatore, che poi è anche elettore, e quello che succede nei salotti televisivi. Tutto sembra finalizzato all’audience, non tanto alla comprensione politica”.Padellaro ha colto l’assist con ironia: “Qui però tu sei in conflitto di interessi, quindi potrai raccontarci qualcosa di come si fanno i casting. Ovviamente tu userai altri criteri, ma spesso vengono scelti ospiti uno a favore del governo, uno a favore dell’opposizione, poi magari un terzo o un quarto che contano poco. L’importante è che ci sia il cortocircuito, che si metta benzina sul fuoco. Io credo che questo schema non funzioni più, soprattutto tenendo conto di quello che accade nel mondo: non sono più giochi da cortile. C’è un’esigenza del pubblico di capire e di comprendere. Siccome il nostro mestiere è quello di mediare tra ciò che accade e chi legge o ascolta o guarda, dovremmo stare più attenti a questo invece di mettere le nostre bandierine”.Il giornalista ha fatto un esempio concreto: “Valditara non è il mio modello di ministro dell’Istruzione e adesso mi metterò contro milioni di studenti, però il suo divieto di portare il cellulare in aula non mi sembra campato per aria. Avrei voluto che qualcuno dell’opposizione dicesse di essere d’accordo. Sarebbe un sollievo per chi guarda la televisione vedere che esistono posizioni che nascono dall’esercizio del pensiero critico. Invece temo che molti miei colleghi, anche bravi, portino il cervello all’ammasso. E questo non funziona più”.Tra i riferimenti centrali del suo ragionamento, Padellaro ha evocato la figura di Giampaolo Pansa, ricordandone il discusso libro Il sangue dei vinti: “Lui ha avuto uno stigma enorme per questo libro, che non gli è stato mai perdonato perché visto dai soliti antifascisti immaginari come un attacco a ciò che è sacro nell’antifascismo. Non era così. Nessuno ricordava che Pansa, che viene da una famiglia fieramente antifascista, si era laureato con una tesi sulla lotta partigiana citata dai grandi dell’antifascismo. Scrive quel libro perché esercita il pensiero critico, non sta nella comfort zone. La sua sfortuna è stata quella di essere messo all’indice, la sua fortuna è stata di vendere una quantità enorme di copie e di creare dibattito. Ha tirato un macigno nello stagno, cosa che i giornalisti veri, non quelli d’allevamento, devono fare“.Infine, tornando al suo Antifascisti immaginari, Padellaro ha raccontato un aneddoto familiare: “Quando il mio nipotino, molto smanettone, mi ha detto: ‘Nonno, ci sono tanti articoli che parlano del tuo libro’, gli ho chiesto cosa dicessero. ‘Ti insultano tutti’. Benissimo, insultatemi. Però vorrei che chi mi insulta non restasse anonimo e avesse argomenti solidi da propormi”.L'articolo Padellaro alla Festa del Fatto: “L’informazione tv ha il peccato mortale di annoiare. Non è tele-Meloni, è tele-Noia” proviene da Il Fatto Quotidiano.