L’uno ha bisogno dell’altro. E viceversa. Fosse un rapporto alla pari, funzionerebbe anche bene. Ma forse non lo è, c’è una disparità di forze che prima o poi presenterà il conto. Gli esperti del Carnegie sono convinti, Vladimir Putin finirà per fare il vassallo della Cina. Anzi, lo è già. Sì, proprio quella Cina che oggi, grazie alla compravendita di petrolio, tiene in piedi le finanze della Russia, impedendone, almeno per ora, il default.“Prima del 2014, l’80% del commercio russo era con l’Occidente e solo il 10% con la Cina. La maggior parte degli investimenti e della tecnologia in Russia proveniva dall’Ue e dagli Stati Uniti. Ma quando Putin decise di annettere la Crimea, iniziò a fare maggiore affidamento sulla Cina, per sostituire la dipendenza dall’Occidente”, premette l’economista Alexander Gabuev nel suo report. Ora, “l’invasione su vasta scala dell’Ucraina nel 2022 ha notevolmente esacerbato questo processo. Oggi Pechino rappresenta oltre il 30% dei ricavi delle esportazioni russe e fornisce oltre il 40% delle sue importazioni, compresi i beni che alimentano la macchina bellica del Cremlino. Per la Cina, l’impronta russa è minore e quindi sostituibile: solo il 3% delle esportazioni e il 5% delle importazioni lo scorso anno”.Qualcosa, insomma, non torna. “Con l’aggravarsi dell’estraniamento della Russia dall’Occidente, il ruolo della Cina come ancora di salvezza per il sistema putiniano è destinato a crescere. E ora non c’è via d’uscita. Quando Mosca ha voltato le spalle all’Occidente un decennio fa, aveva la Cina a colmare il vuoto. Ma ora, anche se per qualche ragione ha scelto di allontanarsi da Pechino, non esiste un’alternativa credibile. Nessun altro Paese può contemporaneamente fornire alla Russia un mercato gigantesco per le sue materie prime, tecnologie moderne, prossimità logistica e strumenti finanziari per aggirare le sanzioni occidentali, il tutto senza che venga sollevata alcuna questione sulla brutale guerra che il Cremlino sta conducendo contro l’Ucraina”, chiariscono dal Carnegie.“In teoria, tutta questa asimmetria dovrebbe essere profondamente destabilizzante per qualsiasi governo, Cremlino incluso, e Mosca dovrebbe cercare modi per correggere la rotta e ripristinare l’equilibrio nella sua politica estera, invece di puntare tutto sulla Cina. Ma Putin non è un decisore pragmatico, e il crescente vassallaggio verso la Cina è una sua scelta. Questo è il prezzo che Putin sta facendo pagare al Paese per inseguire il suo sogno di dominare l’Ucraina. La crescente dipendenza del Cremlino da Pechino è destinata a durare, almeno finché l’ossessione di Putin per l’Ucraina e i suoi rancori verso l’Occidente saranno un sostituto per una strategia pragmatica e grandiosa per la Russia”.