Israele. Netanyahu porta la guerra in Qatar

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di Giuseppe Gagliano – Israele ha compiuto un passo che segna una nuova fase del conflitto: l’attacco aereo contro i leader di Hamas riuniti a Doha. Un atto che non solo sposta la guerra fuori dai confini tradizionali, ma che rompe definitivamente ogni illusione di limiti morali o giuridici nella condotta israeliana. Colpire in Qatar, alleato cruciale degli Stati Uniti e sede della più grande base militare americana nella regione, significa infrangere una regola non scritta: la guerra si combatte sul terreno del nemico diretto, non in casa dei mediatori.L’amministrazione Trump, pur criticando il “luogo” del raid, ha sostanzialmente avallato l’operazione israeliana. Ma proprio questo doppio linguaggio mostra tutta la fragilità della politica statunitense. Washington non riesce più a imporre limiti ai propri alleati. Anzi, si ritrova complice di azioni che minano la sua stessa credibilità diplomatica. Se gli Stati Uniti non sono in grado di difendere un partner strategico come il Qatar da incursioni che ne ledono la sovranità, che senso ha parlare di egemonia americana in Medio Oriente?Il Qatar fino a ieri rappresentava un canale essenziale nei negoziati sul cessate il fuoco e sulla liberazione degli ostaggi. Colpirne il territorio equivale a sabotare deliberatamente ogni sforzo diplomatico. Non è un caso che Hamas abbia parlato di “tentativo israeliano di sventare la pace” e abbia ritenuto Washington corresponsabile. La reazione del Ministero degli Esteri qatarino, che ha definito l’attacco “vile” e diretto contro edifici civili, mostra la frattura che rischia di aprirsi tra Doha e Tel Aviv, proprio mentre Israele aveva spesso usato i canali qatarini per trattare indirettamente con Hamas.Militarmente il raid non ha prodotto i risultati annunciati da Israele. Hamas ha confermato la perdita di cinque esponenti, ma nessuno di primo piano nella delegazione negoziale. Politicamente, invece, l’effetto è devastante. Israele ha dimostrato di sentirsi libero di colpire ovunque ritenga opportuno, dal Libano alla Siria, ora fino al Golfo Persico. Non esistono più confini né vincoli: la “guerra senza frontiere” diventa prassi.Questo episodio certifica la dissoluzione dell’ordine regionale. La Turchia ha subito condannato l’attacco, confermando la sua posizione ambigua ma critica verso Israele. L’Iran osserva, pronto a sfruttare ogni incrinatura nei rapporti tra Stati Uniti e monarchie del Golfo. Gli Stati arabi, che pure negli ultimi anni avevano intrapreso un percorso di normalizzazione con Israele, si trovano davanti a un dilemma: fino a che punto possono accettare che un alleato occidentale bombardi il territorio di un altro Stato arabo sovrano?La Casa Bianca, parlando di “incidente sfortunato” e trasformandolo in “opportunità per la pace”, conferma la sua incapacità di gestire la realtà. La verità è che gli Stati Uniti hanno perso il controllo del loro principale alleato in Medio Oriente. Israele agisce autonomamente, informando Washington solo a cose fatte. Trump può vantarsi di voler mediare, ma i fatti dimostrano che la sua amministrazione è ostaggio delle decisioni israeliane.L’attacco a Doha segna un punto di non ritorno. Non solo per il conflitto tra Israele e Hamas, ma per la stabilità dell’intero Medio Oriente. Ha dimostrato che Israele non riconosce più vincoli internazionali, né politici né legali. E ha evidenziato che gli Stati Uniti non hanno la forza, o la volontà, di fermare questa deriva. Un segnale che rischia di accelerare la crisi del sistema di alleanze americane e di alimentare il caos regionale.