Stefano Benni non ricordo bene come l’ho conosciuto. Intendo in senso letterario. Forse attraverso mio fratello maggiore che aveva qualche anno in meno di lui ma come lui aveva vissuto la Bologna del ’77, dove sulla violenta lotta rivoluzionaria di piazza prevalevano espressioni creative un po’ debitrici delle avanguardie storiche e aggiornate all’underground statunitense. Io quella Bologna lì la conosco abbastanza bene perché ho avuto modo di incontrare alcuni reduci più o meno noti, ma Benni mai.Ho come l’impressione fosse un tipo inaccessibile, ma non avendo mai avuto la necessità di conoscerlo si tratta solo di un’impressione. Bar Sport mi piacque parecchio, mi faceva ridere di gusto. Io e un mio amico delle medie citavamo continuamente degli spezzoni. A quell’epoca vivevo a Genova e Bologna era meta di viaggi in treno verso la casa del nonno, che poi diventerà la casa dove ho abitato per parecchi anni.Desiderare Bologna non era questione solo di mitologia: allora viveva ancora di esempi concreti e brillanti, fra parrucchieri new wave, comici dadaisti e band punk industriali di ottimo livello.Ora la città ha una reputazione immeritata, con una coda lunga di fantasmi che vagano sconcertati in una Milano 3 in espansione ma irrimediabilmente provinciale. Credo che Stefano Benni questa cosa l’abbia capita in anticipo, che a Bologna buttava male. Se ne andò dopo che io ci andai a vivere stabilmente (un ritorno, essendo la mia famiglia originaria della città emiliana) e la cosa bizzarra è che Benni si era innamorato di Genova, dove ero nato e cresciuto.Ora, penso che Genova anni 80 fosse una vera morte civile, almeno per le mie esperienze adolescenziali. Andai in un centro sociale in una chiesa sconsacrata, dopo avere convinto un paio di amici molto perplessi, ma essendo di pomeriggio assistemmo a quattro tizi che spostavano dei divani da una parte all’altra per la serata. Ci doveva essere qualcosa di meglio a Bologna, lo sapevo dai racconti di mio fratello che è praticamente sempre stato lì.Benni conobbe Genova negli anni 90, quando le Colombiadi avevano recuperato una città ancora bombardata dalla seconda guerra mondiale e dalle macerie aveva ricostruito parte del suo monumentale centro storico trasformandolo in polo universitario, rilanciando il resto della città vecchia da ghetto pericoloso a nuova realtà immobiliare per giovani borghesi, dando perciò una spinta notevole ad attività culturali e associative. Insomma, bella forza considerare Genova affascinante quando te la trovi rifatta radicalmente rispetto a quando passavo dal ponte di Sarzano e venivo circondato dai rissosi figli dei meridionali.Benni a Genova dedicherà il suo genio soprattutto al teatro e ai laboratori creativi, mettendoci una generosità che faceva trasparire la forte simpatia per il capoluogo ligure. Eppure Bologna degli anni 90 era notevole, con ancora attive le ultime radio libere, spazzate poi via dall’imprenditorialità cannibale delle megacooperative, e i centri sociali laboratori d’arte contemporanea, rasi al suolo dall’amministrazione pubblica nominalmente progressista ma di chiara prassi liberista.Stefano Benni era cresciuto nelle montagne dell’Appennino bolognese, nella bruttissima Monzuno. Leggo lo chiamavano lupo perché andava coi suoi cani a ululare alla luna. Credo l’abbia fatto una volta soltanto, ma conoscendo bene i posti (lugubri e affascinanti boschi bui, fitti e ripidi), che sono stati all’incirca gli stessi della mia infanzia estiva, potrebbe essere considerato un pittoresco passatempo locale.Mi stava simpatico perché era un somaro al liceo classico, non aveva combinato niente all’università dopo aver provato tre o quattro facoltà diverse e si era buttato subito sul giornalismo. Inoltre ho sempre sospettato, senza alcun fondamento, che l’afasia che l’ha tragicamente colpito negli ultimi anni fosse dovuta al disturbo, o più probabilmente è stata un’abile strategia per isolarsi da un mondo sprofondato in un oceano di merda.A mio modestissimo, ma che dico, inutile parere, il suo maggiore lascito è la figura del “tennico” di Bar Sport. “Di cosa parla un tecnico? Di calcio, di sport in genere, di politica, di morale, di macchine, di agricoltura, di prezzi della frutta, di diabete, di sesso, di trattori, di cinema, di imbottigliamento, di spionaggio. In una parola, di tutto. Quale che sia l’argomento trattato, il tecnico lo conosce almeno dieci volte meglio dell’occasionale interlocutore (…) Come parla il tecnico? Il tecnico parla un italiano leggermente modificato. (…) Usa verbi col congiuntivo tattico: se me lo dicevaste prima, anderei.”Aveva capito l’intimo grottesco e caricaturale delle persone che attraverso l’opinionismo tentano di crearsi un’identità posticcia che ritengono migliore della propria: più virile, più decisionista, più arguta, più scientifica, più aggressiva, soprattutto più critica, più odiosa e più stronza. Descrivendo questo personaggio da bar aveva insomma previsto l’utente standard dei social.L'articolo Benni, la sua Bologna ma anche la sua Genova. Col ‘tennico’ aveva previsto tutto proviene da Il Fatto Quotidiano.