La crisi politica ed economica in Francia ci insegna un po’ di cose da tenere conto per le prossime elezioni del Parlamento italiano nel 2027.La nostra situazione debitoria non è migliore dei nostri cugini d’oltralpe. E pure l’industria, in particolare nel settore dell’innovazione tecnologica, i francesi viaggiano su alti livelli rispetto noi italiani. Ma riusciamo a reggere per la stabilità politica. La durata del governo. Il collante della coalizione di centrodestra che guida il Paese. Garanzia verso gli investitori che acquistano il nostro debito. Il resto lo fa egregiamente il risparmio degli italiani e il welfare che si genera, non è secondario che l’80% delle famiglie sono proprietarie della casa dove abitano.La durata e la stabilità di governo sono elementi di certezza nel caos odierno intorno a noi e sicuramente saranno determinanti nella vittoria finale delle prossime elezioni politiche. Gli elettori che si recheranno alle urne si accontenteranno di questo. Perché ormai si è esaurita la greppia delle promesse per vincere facile.A quelle chi più crede? Così stando le cose è saltato lo schema di valutazione alternativo per cui è scelta una coalizione rispetto un’altra. Perché una volta al governo del Paese qualsiasi coalizione mette in opera un sistema di gestione che è fisso indipendentemente dall’indirizzo politico che rappresenta, soprattutto dopo che gli stati nazionali sono sotto tutela dell’Europa.Per forza di cose si generano due fenomeni, uno l’astensione, il non voto, per disaffezione perché tanto sono tutti uguali, il secondo, chi si reca alle urne, è stimolato a ricercare un valore aggiunto diverso dalle promesse di sempre, quindi si ferma all’osservazione e alla valutazione della stabilità di Governo che genera quella pax di turbolenze dei mercati che meglio tutela i risparmi.Se questo ragionamento pragmatico lo riversiamo sull’alternativa al governo Meloni, il cosiddetto campo largo, il centrosinistra per intenderci è facile comprendere perché riteniamo sia ancora lontana la probabilità che quella coalizione capitanata da Schlein sia in grado di comporsi e poi vincere. Facciamo una prova.Se il centrosinistra governasse, oggi, l’Italia come gestirebbe la crisi ucraina? Perché ora e chissà per quanto la dead line che divide è questa, è diventata, ahinoi, questa, in Italia e in Europa, in molti casi pretesto per coprire i problemi, tanti, che stanno investendo le nazioni del Vecchio Continente (la Francia è un esempio).Come troverebbe la sua omogeneità decisionale il centrosinistra (la Schlein è stata sonoramente fischiata dai 5Stelle alla festa del Fatto Quotidiano, appena ha parlato di sostegno militare all’Ucraina)? È questione di partiti Pd -5stelle- Avs-Italia Viva- Azione o, meglio, è questione di leader Schlein, Conte, Bonelli, Fratoianni, Renzi e Calenda?Rebus sic stantibus è una squadra che a oggi non c’è e il sentiment di amalgama è assente. E lontano, semmai avverrà.Se guardiamo le scelte dei candidati governatori e dei partiti che li sostengono alle prossime regionali (convinti che ogni elezione ha valore settoriale di competenza, le regionali non sono le politiche, e ogni coalizione, si legga il centrodestra ha le sue innumerevoli difficoltà) c’è da rimanere a bocca aperta per i travagli, le sofferenze, i tengo famiglia, le condizioni espresse e taciute, le promesse a incarichi quasi a vita, gli scambi di fine mandato, i figli so piezz e core e via i triccheballacche.Quello che si è visto in Puglia e in Campania era evitabile, da un lato il tira e molla con il complesso freudiano di Decaro e dall’altro il mancato coinvolgimento di Vincenzo De Luca, recordman di preferenze tra i governatori, con il lancio degli stracci nei talk televisivi (che riducono la realtà a vaniloquio, ha scritto Aldo Grasso) è stato un dispensario non della vecchia ma della peggiore politica.Scorrendo il bollettino del girovagare del centrosinistra troviamo Azione di Calenda che non c’è nelle Marche, non sostiene il centrosinistra di Fico in Campania, a sua volta dentro Azione c’è chi si smarca dal leader e sorregge il candidato Cinque Stelle in Calabria.Ai 5 Stelle è indigesto Giani in Toscana, in Puglia sostenevano più Emiliano candidato in consiglio regionale, loro talent scout, che il Pd Decaro.Avremmo da elencare i mal di pancia del Pd, che deve sempre cedere suoi candidati ai 5 Stelle per avere il loro sostegno elettorale, o le prime turbolenze per discriminazione di trattamento di Alleanza Verdi e Sinistra, ma ci pare di aver dato ampliamente evidenza del patchwork, della scomposizione più che dell’aggregazione in atto.Gli elettori guardano. Osservano. Valutano. Immaginano, questo sì, se il centrosinistra si candidasse alla guida del Paese attrezzato così in malo modo che farebbe una volta arrivato a Palazzo Chigi?Perché sulla carta puoi fare le alleanze che vuoi, ma poi dentro la cabina elettorale o addirittura prima, quando pervade il dubbio, vado o non vado a votare, sono i cittadini che intimamente scelgono il da farsi. Non c’è fedeltà o indirizzo di partito che tenga.L’opposizione? Basterebbe esistere, ha detto Prodi. La squadra del centrosinistra non c’è. Azione visti i toni e i modi di fare del suo leader non ha proprio intenzione di associarsi al campo largo con dentro i 5 Stelle (ma poi scoverà qualche stratagemma, scusa, per associarsi al Pd per portare a casa qualche deputato).C’è chi si sfila come Conte che non legittima alcuna coalizione nonostante gli sforzi encomiabili della Schlein (che ha sulle spalle una famiglia socialista europea che gli da molti grattacapi di linea, già sostenere la von der Leyen è un impegno arduo) a scapito del maggior nutrimento costante che abbisogna il Pd, riattivato dalle Feste dell’Unità, quest’anno sono rifiorite a raffica, ma ancora lento, troppo lento, sulla via del rinnovamento culturale e organizzativo del partito, soprattutto ai vari livelli locali (riaprire le sezioni e farle diventare dei centri di accoglienza dei problemi dei cittadini).Per questa sua tenacia e determinazione la Schlein è insostituibile alla guida del Pd per chissà quanto tempo. Non c’è ‘fenomeno’ in grado di creare quel minimo sindacale di appeal che oggi il Pd si è conquistato con una segretaria che non è mai stata comunista e nemmeno democristiana ma che ha compreso una volta dentro gli ingranaggi come gira il mondo nel Pd, la sua complessità e istintiva irriformabilità, distribuita a estuario di rancori passati, presenti e futuri, anche frutto di quell’unione spuria tra Margherita e Ds.Il vero, unico animatore del centrosinistra è Matteo Renzi. Convinto dall’inizio che la leader del campo largo sarà la Schlein (oggi un po’ meno, guarda al centro e al cielo per l’ispirazione classica del centrosinistra di un candidato fuori campo, davanti a lui passa costante l’immagine della Salis, persona di qualità, sindaco di Genova) è una furia contro il Governo Meloni e lavora per l’unità del centrosinistra volgendo gli sforzi alla composizione del prossimo Parlamento che dovrà eleggere il Presidente della Repubblica.Uno sguardo ispirato e acceso troppo in avanti per l’ospedale da campo del centrosinistra scomposto. Ma Renzi pare impegnato anche nell’attrezzare un fatidico centro del centrosinistra. Chiude Italia Viva e apre Casa Riformista. È imbarazzante che in ogni elezione che si rispetti rispunta il centro, la società civile, i civici.Poi cosa portano, cosa chiedono, quali le tante istanze diverse dagli altri partiti papabili dell’attuale formazione? Lo ricordo perché l’hanno capito anche i bambini, sono liturgie utili a condizionare la scelta del futuro premier del centrosinistra (Franceschini ha ben detto “serve una figura forte non di centro”), e alzare le probabilità che sia proprio un nome calato dall’alto, partorito da chissà dove a ricomporre lo strike definitivo del campo largo.Si veda il centrodestra. Ormai il centro lo fa la Meloni. Gli mancano altri esponenti di provenienza democristiana per completare il quadro di una classe dirigente di valore.Poi nel resto della coalizione non c’è concorrenza per fare il centro ma per coprire quella vasta area di destra cosiddetta sociale che non si riconosce più in Meloni e quei delusi puri e duri della Lega allergica alla guida di Salvini. I movimenti del generale Vannacci spiegano diffusamente quello che potrà accadere.È chiarissimo quello che manca al centrosinistra. Oltre ai partiti che lo dovrebbero comporre non c’è sapore motivazionale che spinga un elettore a recarsi alle urne e votarlo. Serpeggia l’idea, quello che ricordavamo all’inizio, che tanto poi le coalizioni una volta arrivate al Governo amministrano tutti allo stesso modo. E oltre non essere pervenuta una palpabile diversità, il centrosinistra manca di ordine.È una truppa dove non si capisce bene su cosa si trova d’accordo, l’accentuata diversità programmatica rispetto gli altri. Si osservi la Schlein sull’Ucraina le acrobazie per sfumare le posizioni, le mediazioni fino al grigiore fumo di Londra.Nel c’era una volta del moleskine della politica, il metodo delle primarie offriva l’impressione che il ‘conta tu’ cittadino fosse una azione a estuario di vitalità. Poi sono scomparse. Così anche la discussione sul futuro candidato premier. Che ci vuole dire che sarà il segretario del partito che prende più voti?L’ha precisato qualche giorno fa Tajani, guardando al centrodestra, ogni partito corre con il proprio leader candidato premier poi chi prenderà più voti candiderà il prossimo Presidente del Consiglio. Non si può togliere la competizione tra i partiti e i leader in una competizione elettorale. Che ci vuole al campo largo per capirlo e metterlo in pratica?