È cominciato nella notte di domenica 5 ottobre lo spoglio dei voti per l’elezione del primo parlamento siriano dalla caduta del regime di Bashar Al Assad. Ad essere chiamati al voto non sono stati i cittadini ma i 7000 membri che compongono i circa sessanta collegi elettorali nel paese. Saranno loro ad eleggere l’assemblea legislativa.I cittadini, ha spiegato il governo, non sono stati chiamati al voto diretto a causa della perdita dei documenti durante il conflitto civile durato oltre dieci anni e dell’ancora alto numero di rifugiati interni ed esterni al paese che rende le operazioni d’organizzazione ancor più difficili.A candidarsi, per i 210 posti da parlamentare nell’Assemblea del popolo, 1578 candidati. Ognuno di questi, secondo il sistema elettivo transitorio, è stato selezionato tenendo conto di diversi parametri. Ma non per 14 associazioni della società civile siriana che hanno firmato un appello critico nei confronti di questo sistema elettorale temporaneo.Il nodo centrale – secondo le organizzazioni – è che un terzo dei candidati , 60, verrà eletto con nomina diretta del presidente della Repubblica, Ahmad al Sharaa. In aggiunta, lamentano le organizzazioni, in tre provincie, Hasaka, Suwaida e Raqqa, le elezioni sono sospese a causa della situazione politica locale e dei numerosi scontri armati.Per altri queste votazioni sono il passo in avanti di un paese distrutto. Lina Daaboul, una dottoressa a Damasco, ha raccontato all’AFP (Agence France-Presse) di essere stata avvicinata da un uomo che le aveva offerto un posto nel collegio elettorale della capitale. All’inizio, spiega, “ho rifiutato: temendo la responsabilità e l’immagine negativa delle assemblee parlamentari passate”. Dopo aver capito che avrebbe preso parte del solo corpo elettorale, ha però accettato, definendolo “un dovere nazionale.”Allo scrutinio 500 candidati. “Ho studiato i profili di molti di loro e ho partecipato a riunioni” spiega la dottoressa all’agenzia francese. “Ma non mi sono fermata lì: ho chiamato le persone per chiedere informazioni sui candidati, sulle loro storie e su cosa ne pensavano gli altri”.Fra questi candidati anche Henry Hamra, rabbino sirio – americano, che è il primo candidato di religione ebraica dal 1967. I suoi manifesti elettorali sono comparsi nella città vecchia di Damasco, in prossimità dell’antico quartiere ebraico, dove il padre di Hamra, Yousef, guidò la comunità ebraica fino al 1992. In quell’anno, il presidente Hafez al Assad diede il permesso agli ebrei siriani di lasciare il paese. A rimanere, presidiando le sinagoghe e l’antico quartiere abitato per secoli, solo un paio di ebrei siriani.Nei manifesti, si vede Hamra con sullo sfondo la bandiera siriana. “Per una Siria unita e di tutti i siriani” recita lo slogan. E, una riga sotto, ricorda di “continuare a lavorare con la comunità siriana negli Usa per la rimozione del Cesar Act senza condizioni”. Proprio grazie a un gruppo d’opposizione siriano negli Stati Uniti, nel febbraio scorso, Hamra, insieme al padre e un piccolo gruppo di siriani ebrei, avevano fatto visita a Damasco e avevano pregato all’interno di una sinagoga – chiusa da decenni.Ad accompagnarli c’era Mouaz Moustafa, influente figura dell’opposizione sirana, basato ormai a Washington, con cui Hamra era venuto in contatto anni prima, chiedendogli di aiutarlo a salvare dalla distruzione i manoscritti e reperti della storia ebraica in Siria contenuti all’interno di una sinagoga nella zona di Jobar.Per molti, la candidatura di Hamra è un passo in avanti per la costruzione di una società siriana inclusiva. Lo crede Bakhour Chamntoub, ebreo siriano, nominato dal presidente Ahmad al Sharaa a capo della comunità ebraica nel paese, per il quale “il ritorno di un ebreo nel parlamento siriano sarebbe un fatto positivo, specialmente con il nuovo governo”. Questo considerando l’estrazione islamista di al Sharaa e il suo passato con alQaida.L'articolo Siria, le prime elezioni del post-Assad: voto indiretto e parziale (e il primo candidato di religione ebraica dal 1967) proviene da Il Fatto Quotidiano.