La parità salariale non basta: congedi, carriera e formazione devono uscire dall’ombra

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di Michele Tamburrelli*Nel 2023 il Parlamento e il Consiglio europeo hanno approvato la Direttiva (UE) 2023/970 sulla trasparenza retributiva, che mira a ridurre il divario salariale tra uomini e donne e a rendere effettivo il principio “a parità di lavoro, parità di salario”. Gli Stati membri dovranno recepirla entro il 2026, ma in Italia se ne parla poco e il percorso è ancora fermo.La direttiva non si limita a enunciare un principio: introduce obblighi precisi. Le aziende con oltre 250 dipendenti dovranno pubblicare ogni anno i dati sul divario retributivo di genere; quelle più piccole seguiranno con scadenze diverse. Se emergerà una differenza superiore al 5% non giustificata da criteri oggettivi e neutrali, scatterà l’obbligo di un’analisi congiunta con i rappresentanti dei lavoratori e la definizione di correttivi. Inoltre, ai candidati in fase di selezione dovrà essere comunicata la fascia retributiva della posizione, e sarà vietato chiedere lo storico salariale.Alcuni paesi si sono già mossi in anticipo. In Irlanda e Belgio, ad esempio, è prassi che negli annunci di lavoro venga indicato un range di salario: una misura semplice che riduce opacità e squilibri. In Francia è stato introdotto un sistema di monitoraggio pubblico della parità che ha già spinto molte imprese a rivedere le proprie politiche retributive.Ed è proprio questo uno dei nodi centrali. Guardare esclusivamente alla busta paga rischia di essere riduttivo: due lavoratori possono avere lo stesso salario base, ma se solo uno viene coinvolto regolarmente in percorsi formativi, riceve incarichi di responsabilità o ha più possibilità di avanzamento, la parità è solo apparente. La discriminazione può annidarsi in pratiche meno visibili ma altrettanto determinanti per la crescita professionale.Le aziende italiane, per essere in regola, dovranno dunque costruire mappature accurate: non solo retribuzioni, ma anche percorsi di carriera, criteri di valutazione della performance, accesso e ammontare dei bonus, benefit e formazione. La direttiva chiede trasparenza non solo sui numeri, ma anche sulle regole del gioco. Per le multinazionali presenti in più paesi europei la sfida sarà ancora più complessa: dovranno armonizzare politiche e pratiche diverse, garantendo coerenza interna e allo stesso tempo conformità ai requisiti specifici di ciascun ordinamento nazionale.Il confronto con l’Europa mostra che la trasparenza retributiva non è un’utopia ma una realtà possibile. In Spagna, ad esempio, il congedo obbligatorio per i padri – di uguale durata a quello delle madri – ha reso più equilibrata la distribuzione dei carichi familiari e ha ridotto il rischio che solo le donne vengano penalizzate nelle carriere. In Francia, l’Index de l’égalité femmes-hommes ha introdotto un sistema di monitoraggio annuale pubblico e comparabile, che ha costretto le imprese a misurarsi con i propri numeri e a migliorare i punteggi per non perdere reputazione. Anche in Belgio e Irlanda è già prassi indicare il range salariale negli annunci di lavoro, una scelta semplice ma capace di ridurre opacità e disparità.La trasparenza retributiva è dunque anche una leva di reputazione e di attrattività. Le nuove generazioni guardano con attenzione a questi aspetti quando scelgono un datore di lavoro. Aziende percepite come poco trasparenti rischiano di perdere i talenti migliori, mentre quelle che comunicano in modo chiaro le politiche salariali e le opportunità di crescita diventano più competitive sul mercato. In questo senso, la direttiva rappresenta una occasione per modernizzare la cultura aziendale e costruire fiducia, dentro e fuori i luoghi di lavoro.Il recepimento in Italia dovrà misurarsi con alcune difficoltà strutturali: una cultura diffusa del “segreto salariale”, sistemi di inquadramento spesso carenti di criteri oggettivi, e un radicato squilibrio nell’uso dei congedi familiari, ancora prevalentemente a carico delle donne. Ma proprio per questo l’arrivo della direttiva può rappresentare un’occasione di cambiamento, in linea con i migliori esempi europei.Se davvero vogliamo colmare il gender pay gap, dobbiamo spostare l’attenzione dall’uguaglianza formale all’uguaglianza sostanziale: quella che non si limita a garantire la stessa paga per la stessa mansione, ma assicura pari opportunità di sviluppo, di carriera e di riconoscimento del merito. La trasparenza retributiva non è solo un obbligo di legge: è un investimento che può consentire a sempre più donne di sfondare quel tetto di cristallo che ancora oggi limita carriere e opportunità.* Laureato in Diritto del Lavoro e Relazioni Industriali, ha maturato esperienze in ambito risorse umane sia in contesti aziendali che sindacali, consolidando competenze in diritto del lavoro, formazione e salute e sicurezzaL'articolo La parità salariale non basta: congedi, carriera e formazione devono uscire dall’ombra proviene da Il Fatto Quotidiano.