Gaza, nel ‘piano di pace’ di Trump ci sono molte cose che non quadrano: temo le conosceremo presto

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Poscia, più che ‘l dolor, potè ‘l digiuno (Dante, Inf. XXXIII, 75). Mi unisco all’esultanza generale, specialmente del popolo di Gaza (o di quello che resta) e dei familiari degli ostaggi israeliani che, come pare, torneranno finalmente a casa, sfiniti dal dolore, dall’attesa e dall’angoscia, che sfociano in gioia liberatoria, non ancora operativa e rischiosa.Con i protagonisti obbligati (Trump e Hamas “costretto”), tutto è possibile, anche l’impossibile. C’è poi quello che, eufemisticamente, è chiamato piano di pace di Trump e, in ordine, molto stranamente, segue Netanyahu, che, a differenza della sua indole, dei suoi interessi e della sua sprezzante sicumera, pare abbia ceduto su tutti i piani. Non è credibile. È l’unico che non ha fatto dichiarazioni per celebrare la “giornata storica”, da tutti osannata in fretta e imprudentemente. Perché tace? Non sono segnali positivi. Cosa gli è stato garantito che nessuno conosce? Fino a un minuto prima dell’annuncio di Trump, il grido di battaglia era: “Non ci sarà mai un popolo palestinese”, e ora, all’improvviso, abbracci e baci, tarallucci e vino (kosher, naturalmente)! C’è qualcosa che non quadra e lo vedremo presto. Si apre uno spiraglio, ma la porta non è ancora né socchiusa né tantomeno aperta, troppe sono le incognite su cui domina il Piano di Trump in 20 punti, da cui è scomparsa la Palestina, il popolo palestinese, il suo destino, il suo futuro, il suo territorio. Si parla di Hamas che deve disarmarsi, di ricostruzione (nove case su dieci a Gaza sono rase al suolo); non si dice espressamente chi la farà e chi deciderà. Gli appetiti sono indefiniti.L’esercito di Israele deve lasciare la striscia, ma perché resterà a Rafah, estremo sud della Striscia ai confini con l’Egitto?Dell’autodeterminazione del popolo palestinese, nulla. Scusate, ma cosa determina il popolo palestinese, decimato dalla mattanza genocida di Israele, rinchiuso in un deserto di macerie, diventato una discarica e avvelato da inquinamento di piombo e materiali militari inquinanti per decine di anni ancora? Al primo incidente (e ve ne saranno!), scatterà la molla della repressione, ancora più feroce, per “finire il lavoro” incompiuto che Trump ha promesso a Netanyahu? Il popolo palestinese residuale, quasi morto per assedio di fame, dove abiterà nei decenni della ricostruzione?Nel “piano” non c’è nulla. Nella ricostruzione cosa c’entra il cognato di Trump, Jared Kushner, imprenditore palazzinaro, consulente presidenziale e co-ideatore del piano? Il 7 ottobre 2025, ai colloqui di Sharm El-Sheikh in Egitto, egli c’era in rappresentanza del cognato presidente: a quale titolo? Come garante della ricostruzione di Gaza, una volta espulsi i palestinesi per lasciare il campo alla spartizione della Striscia di Gaza e del gas dell’immenso giacimento a km 37 ca. dalla spiaggia palestinese, già appaltato agli avvoltoi americani, arabi e amici adiacenti?Prima di gioire, io aspetto lo sviluppo o la piega che già sa chi deve sapere. L’unica cosa di cui si può gioire senza enfasi e senza remore è la liberazione degli ostaggi israeliani ancora vivi e anche quelli morti. Il resto è ancora nebbia, fitta e rischiosamente pericolosa che può scatenare l’ira di Dio e l’apocalisse. Si resta ammutoliti, leggendo i venti punti, del tutto assente il popolo palestinese, dove non si cita una volta sola l’Autorità palestinese, se non accidentalmente.Si vuole la pace non come frutto di trattative, ma come premessa di un diktat, ammesso senza peli sulla lingua dallo stesso Trump, che si autocandida al premio Nobel per la pace: “Se Hamas non accetta il piano di pace, conoscerà l’inferno”. Chi sparla così non si è accorto ancora dell’inferno conosciuto e quello ancora da venire a Gaza, dal martoriato popolo palestinese in due anni di sistematica mattanza, finalizzata alla sua distruzione totale in quanto palestinese e che l’Onu chiama per nome: genocidio.La pace, anzi, un processo di pace non s’improvvisa, come stanno facendo gli Usa del volubile e inaffidabile Trump, narcisista megalomane, ossessionato dal suo super-ego che porterà gli stessi Usa alla distruzione, ponendo fine alla sua mortifera egemonia nel mondo (ricatto dei dazi giocati come una partita di bowling). La pace è un seme piccolo che cresce molto lentamente, al pari dei passi che ciascuno dei protagonisti ha il coraggio di fare in maniera definitiva e irreversibile.Le tentazioni della guerra sono sempre più forti degli sforzi di pace. Il vangelo di Matteo, nelle Beatitudini, non dice la solita banalità: “Beati gli operatori di pace” (Mt 5,9), ma in greco usa una parola sconvolgente: “beati gli eirenepoiòi“, composto da eirene, pace, e da poièo, creo/invento/faccio/progetto, verbo da cui deriva l’italiano ‘poeta’. La pace ha bisogno di ‘poeti’, cioè utopisti, fantasiosi, progettisti, impastatori, temerari che vivono già nel loro pensiero e nel loro cuore quello che gli altri non riescono nemmeno a pensare, tantomeno a immaginare.La pace è una dimensione spirituale e divina, non un’attitudine umana evidente, come il pòlemos, la guerra. La pace è sinonimo di “salvezza” nel senso ebraico di Shalòm e arabo di Salàm che indica la sintesi suprema, premessa essenziale, condizione fondativa della vita e della vita sociale, in un disegno salvifico dell’universo intero. Non si tratta di mera assenza di guerra, ma di un nuovo ordine di giustizia dove il rispetto per l’altro diventa criterio per vivere i rapporti tra le persone, i popoli e gli avvenimenti.Non è la scusa per trasformare Gaza in un bordello alla Las Vegas o in un affare gigantesco, che ha come condizione essenziale la distruzione finale del popolo palestinese, in cui tutti sperano: Usa, Israele, arabi, Hamas e assassini travestiti da camerieri armati. Non resta che attendere trepidanti.L'articolo Gaza, nel ‘piano di pace’ di Trump ci sono molte cose che non quadrano: temo le conosceremo presto proviene da Il Fatto Quotidiano.