C’è un passaggio nel commento che Giorgia Meloni ha fatto sul piano di pace trumpiano per Gaza che è nevralgico per capire i termini della questione. Il lavoro conta più di bandiere e piazze. Lo pensa anche il vicecapogruppo di FdI al Senato, Marco Scurria, che analizza il piano con Formiche.net, passando in rassegna le fasi che ne hanno caratterizzato la nascita e le possibili interconnessioni con le altre partite che gravitano nel quadrante mediorientale, dove vari sono i soggetti che hanno offerto un contributo valoriale.Come far sì che l’accordo su Gaza sia il primo passo per porre davvero fine al conflitto?Occorre pazienza e altro lavoro, nella consapevolezza che è stato avviato un percorso, lungo e difficile, ma adesso sarà utile altra dedizione per comporre un quadro unitario. Non dimentichiamo che nessuno scommetteva sulla nascita del piano fino a poche settimane fa. Poi l’impegno della Casa Bianca si è trasformato in fatti.Il dialogo americano sul piano con Egitto, Turchia e Qatar potrebbe trasformarsi in una sorta di nuovi accordi di Abramo per il futuro dell’intera area?Certamente si. Anzi, la guerra è iniziata proprio perché qualcuno non voleva che quegli accordi proseguissero. La stabilità dell’intera regione mediorientale potrebbe essere garantita proprio da questo nuovo sforzo, nato dalla cooperazione di più paesi. Insomma il 7 ottobre l’Iran scatena Hamas proprio perché si rende conto dell’isolamento in cui era finito, visto che l’Arabia Saudita stava di fatto per firmare anche questi accordi. E quindi questo nuovo momento di pace che è stato ovviamente condiviso con gli Stati arabi attraverso la Presidenza americana sarà un momento in cui questi stessi protagonisti si ritroveranno intorno ad una nuova edizione degli accordi.Anche l’Italia parteciperà al board di garanzia, dove ci sarà l’ex premier inglese Tony Blair. Il nostro paese potrà avere un ruolo anche nella ricostruzione?Ne sono certo. Il ruolo dell’Italia in questi tre anni è cresciuto esponenzialmente sugli scenari internazionali, e il recente incontro a Roma fra Blair e Meloni dimostra che il lavoro silenzioso e non pubblicizzato rende più di tanti slogan ultra ideologici. Il governo in questi anni di crisi è sempre stato presente da protagonista anche nel rapporto con gli Stati arabi. Perché Meloni è credibile? Perché quando c’è stato da criticare anche Israele lo ha fatto senza eufemismi, senza tirarsi indietro, aiutando la popolazione palestinese più di qualunque altro paese occidentale.Questo accordo nasce da uno sforzo occidentale, in primis della Casa Bianca, ma con l’appoggio dell’Ue in veste di garante. Invece altri soggetti, come la Cina, hanno giocato di lato. C’è il rischio che possano così sfruttare il momento concitato per un proprio tornaconto geopolitico?Beh sì, diciamo che la Cina non ha potuto recitare un ruolo da protagonista perché nella concomitante crisi tra Russia e Ucraina, ovviamente è stata molto esposta nei confronti della Russia, è molto quindi vicina a quello schieramento che vede anche l’Iran accanto alla Russia e l’Iran protagonista in Medio Oriente accanto ad Hamas, quindi diciamo che non non era proprio un interlocutore con il quale poter costruire ambiziosi momenti di pace.Tajani a Parigi per la riunione degli E4 (Italia, Francia, Germania e Regno Unito), del Quintetto Arabo (Egitto, Giordania, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qatar), insieme con Indonesia, Turchia, Spagna, Canada e Unione Europea. Che segnale offre l’Italia sul piano dell’attivismo diplomatico?Giorgia Meloni ha commentato che il lavoro vince sulle bandiere. Noi sappiamo che le nostre città sono state riempite in questi giorni da persone che facevano manifestazioni e cortei. Quando le persone manifestano una loro convinzione sono sempre rispettabili ci mancherebbe, però sappiamo bene che la pace non è arrivata per lo sciopero generale della CGIL o per le centinaia di migliaia di persone che sono scese in piazza in questo fine settimana. È stata una battaglia che qualcuno ha tentato ideologicamente di strumentalizzare in funzione anti Governo mentre c’era un Governo che faceva quello che si fa in politica estera, soprattutto quando si deve provare a portare avanti un piano di pace attraverso la diplomazia, sentendo quotidianamente le cancellerie dei vari Stati e anche incassando risposte negative. Quelle piazze chiedevano una cosa che in realtà si stava già facendo, solo che lo si faceva in maniera formale, in maniera istituzionale e in maniera seria, non riempiendo le piazze di persone che avevano chiaramente un obiettivo giusto ma alcuni avevano degli striscioni che di pacifico avevano ben poco perché ovviamente ricordavano l’eccidio del 7 ottobre.