Bene l’accordo di pace, ora vanno estesi gli Accordi di Abramo. Parla Rosato

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È fatta. Dopo mesi di guerra, l’accordo di pace tra Israele e Hamas segna un punto di svolta potenzialmente storico. Un’intesa complessa, nata sotto la spinta del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump e che apre uno spiraglio di stabilità nel cuore del Medio Oriente. Ma la strada resta lunga, tra ostaggi liberati, territori contesi e la necessità di ricostruire un tessuto sociale distrutto dal conflitto. Formiche.net ne ha parlato con Ettore Rosato, vicesegretario di Azione (componente della Commissione Esteri a Montecitorio), che questa mattina ha partecipato in Parlamento all’evento di ricordo delle vittime del 7 ottobre (promosso dal deputato leghista, Paolo Formentini) — data che, come ricorda lui stesso, “resterà impressa nella coscienza di tutti noi”.Onorevole Rosato, partiamo dall’incontro di questa mattina in Parlamento. Che significato ha avuto per lei questo momento di ricordo del 7 ottobre?Sette ottobre sarà sempre una data che resta nella coscienza di tutti noi. Nulla può cancellare il pensiero di quelle vittime innocenti uccise dai terroristi di Hamas e della Jihad islamica. È stato giusto ricordarle in Parlamento, in modo sobrio e rispettoso. È un dovere morale e civile: non solo per onorare la memoria di chi non c’è più, ma anche per riaffermare il rifiuto di ogni forma di terrorismo e di odio.A distanza di due anni da quella tragedia, arriva un accordo di pace tra Israele e Hamas. Come legge questo passaggio?È un momento che può davvero essere definito storico. La liberazione degli ostaggi israeliani, che per lungo tempo è sembrata impossibile, rappresenta un risultato straordinario. Naturalmente bisognerà capire come verrà implementato l’accordo nei passaggi successivi, ma il solo fatto che si sia arrivati a una firma dimostra che la diplomazia, quando sostenuta da volontà politica e da pressione internazionale, può ancora funzionare.Lei ha riconosciuto un ruolo importante degli Stati Uniti e, in particolare, del presidente Trump. Sì, e lo ribadisco. Non sono un sostenitore di Trump, ma su questo dossier ha dimostrato una caparbietà e un uso dell’energia diplomatica e della forza che solo gli Stati Uniti sono in grado di mettere in campo. Se oggi parliamo di un’intesa è anche grazie a quella determinazione. Potrebbe davvero aprirsi una pagina nuova nella storia del Medio Oriente.Quali sono, secondo lei, i punti che destano maggiore attenzione o preoccupazione?Direi che non ci sono elementi irricevibili, ma mancano alcuni temi fondamentali: penso alla Cisgiordania, che resta esclusa da questa fase del processo. È evidente che non tutto può essere risolto subito, ma servirà un percorso graduale. E non sarà semplice smilitarizzare Hamas: ci sono i vecchi irriducibili e i giovani arruolati in questi anni di guerra, spesso spinti alla lotta armata da esperienze personali drammatiche. Sarà necessario un lavoro non solo politico, ma anche culturale — bisognerà ricostruire un tessuto sociale capace di rispettare il vicino, di immaginare la convivenza.Ha parlato del ruolo cruciale dei Paesi arabi. In che modo hanno inciso?Senza Egitto, Turchia e Qatar questo accordo non sarebbe mai stato possibile. Il radicalismo dei ministri israeliani da una parte e delle componenti armate di Hamas dall’altra non avrebbe portato a nulla, se non fossero stati spinti — in certi casi obbligati — da questi Paesi e dagli Stati Uniti a sedersi a un tavolo. Ora la loro presenza sarà fondamentale anche per affrontare la questione della Cisgiordania. Gli Accordi di Abramo potranno essere rinvigoriti e ampliati, creando un quadro più stabile per la regione.A Parigi è in corso una riunione dei ministri degli Esteri europei cui ha preso parte anche il titolare della Farnesina Antonio Tajani. L’Europa, però, sembra aver avuto un ruolo secondario. Condivide questa impressione?Sì, direi che l’Europa è stata abbastanza marginale. Non è riuscita a essere un interlocutore efficace né per Israele né per la componente palestinese. Gli Stati Uniti hanno mostrato — anche con atti di forza, come il bombardamento su Teheran e l’accondiscendenza verso quello israeliano sul Qatar — fino a dove può arrivare una leadership determinata. Nessun Paese europeo avrebbe potuto fare lo stesso. Tuttavia, l’Europa può essere un elemento di stabilizzazione, capace di accompagnare il processo di pace sul piano politico, umanitario ed economico.E l’Italia? Può avere un ruolo specifico in questa nuova fase?Assolutamente sì. L’Italia, grazie al posizionamento intelligente che sta mantenendo il governo Meloni, può essere un interlocutore credibile. Ha un dialogo positivo sia con Israele sia con l’Autorità Nazionale Palestinese. Questa doppia linea può diventare un valore aggiunto per costruire ponti e favorire il dialogo. Ma serve coerenza, continuità e la consapevolezza che la pace in Medio Oriente è anche una priorità per la sicurezza e la stabilità europea.