di C. Alessandro Mauceri –Forse (e sottolineiamo “forse”) Hamas e Israele hanno trovato una tregua. Una pace “temporanea” che nasconde molte cose dietro di sé. Cos’è che non è stato detto di questo accordo? La prima è la data scelta per firmare la tregua: il 9 ottobre, a due anni esatti (o quasi) dall’inizio degli scontri. O almeno di quest’ultima fase della guerra. Quello firmato non è un trattato di pace, la fine di una guerra ormai pluridecennale, ma solo una tregua. E per di più molto debole.“Questo è un successo diplomatico e una vittoria nazionale e morale per lo Stato di Israele”, ha dichiarato il primo ministro israeliano Netanyahu. Il suo ufficio ha fatto sapere che lui e Trump hanno “avuto una conversazione molto emozionante e calorosa”, nel corso della quale si sono congratulati a vicenda per lo “storico accordo” raggiunto. In realtà, la sospensione della strage di innocenti nella Striscia di Gaza non è certo un successo per il premier israeliano. Non solo Nethayau ha dovuto fare enormi passi indietro dal punto di vista politico, sia dentro che fuori i propri confini. Ma a guadagnare di più dalla sospensione delle ostilità potrebbe essere Hamas. A fronte della liberazione di un paio di decine di ostaggi ancora in vita e dei cadaveri di una ventina di ostaggi morti durante gli attacchi di Israele (non si sa uccisi da chi), Hamas ha ottenuto una sospensione delle ostilità e soprattutto la liberazione di quasi duemila detenuti israeliani, un rapporto di cento a uno! Ma non basta. Tra i prigionieri che gli israeliani dovrebbero (il condizionale è d’obbligo) liberare ci sarebbero anche alcuni dei vertici di Hamas.Se dovesse diventare una pace duratura, la tregua potrebbe privare il premier israeliano dalla possibilità di mantenere l’immunità che gli era stata concessa proprio viste le condizioni di guerra in cui si trovava. Sarebbe processabile e sui di lui tendono diversi capi d’accusa e un processo nel proprio paese.Il fatto poi di non poter annettere al proprio territorio la Striscia di Gaza per Nethanyau è una sonora sconfitta. Se non altro perché a rimanere tagliata fuori è proprio la zona costiera, quella alla quale Israele teneva di più (per diversi motivi: dallo sfruttamento dei giacimenti petroliferi e di gas in mare alla possibilità di realizzare insediamenti vivibili per i coloni e molti altri).Anche per Trump l’accordo è un successo ma solo fino ad un certo punto. Se da un lato, potrà finalmente vantarsi di aver mantenuto una delle promesse fatte dopo la rielezione, la stipula di questa tregua diverrà un evento degno di essere scritto sui libri di storia solo se reggerà a lungo. Di certo non dovrebbe bastare al tycoon della Casa Bianca per ottenere il tanto agognato Nobel per la Pace: anche se ancora non è stata diffusa, la decisione del vincitore del Premio Nobel per la Pace è già stata presa lunedì scorso. E, a meno di sorprese dell’ultim’ora, non sono previste riunioni del comitato fino alla comunicazione alla stampa.Dal punto di vista pratico, l’accordo appena firmato presenta numerosi lati oscuri. Tra i più rilevanti la mancanza di una timetable attendibile, il fatto che la linea di demarcazione del territorio sul quale non possono essere posizionate le forze dell’IDF e chi dovrebbe gestire la zona di pace. Un altro aspetto tutt’altro che secondario, infatti, è che finora a trattare per la pace non è stato il governo palestinese, ma Hamas. Questo non assicura, sic et simpliciter, il riconoscimento di questi accordi da parte della Palestina.Ma questo a Trump non interessa. Come è avvenuto per altri trattati di “pace” firmati da Trump da quando è stato rieletto (si pensi a quello con l’Ucraina o a quello tra RDC e Ruanda firmato dal suo vice) il suo interesse è semplicemente economico. Tra i punti dell’accordo infatti ci sarebbe l’applicazione delle riforme dell’Autorità Nazionale Palestinese già avanzata da Trump nel 2020: il piano franco-saudita per la Palestina accompagnato da un non meglio specificato piano economico per gli USA per attirare gli investimenti. In questa fase, sarebbe garantito il diritto al ritorno ai palestinesi, l’amnistia per i membri di Hamas e il progressivo ritiro di Israele dalla Striscia, impegnandosi a non annetterla.Altro aspetto interessante è il ruolo, inesistente, dei paesi dell’UE. Nonostante alcuni leader europei si siano vantanti di aver contribuito a questo risultato, in realtà sono stati tagliati fuori da ogni processo decisionale. Questo vale sia per la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyern, che per molti leader europei. Anche il governo italiano, che si è vantato di aver seguito e approvato quanto fatto da Trump, in realtà non ha avuto voce in capitolo. E le dichiarazioni di Tajani che l’Italia è pronta a ricostruire o a mandare una missione di pace appaiono premature. Non è ancora chiaro chi e come avrà una fetta della ricostruzione (però, al tavolo delle trattative era presente il genero di Trump, ma nessuno del governo italiano). Inoltre una missione di pace prevederebbe che la pace è definitiva. Per non parlare del fatto che questa missione dovrebbe avvenire sotto l’egida delle Nazioni Unite.Peccato che proprio le Nazioni Unite sono forse quelle che escono più sconfitte da tutta questa vicenda. Il segretario generale non ha partecipato a nessun incontro decisivo. Gli israeliani non solo hanno criticato aspramente l’ONU e l’UNRWA, ma hanno ripetutamente bombardato molti dei centri di accoglienza gestiti da quest’organo delle Nazioni Unite. Quanto alle misure adottate sia dal Consiglio di Sicurezza (continuamente fermato dai veti, ben sei, degli USA) che dalla Corte Penale Internazionale, questi non hanno avuto alcun effetto concreto se non quello di ridicolizzare ancora di più la macchina ormai obsoleta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.L’accordo di pace tra Hamas e Israele, firmato sotto l’egida di Trump (che da tempo attacca l’ONU e i suoi enti da UNESCO alla WHO all’UNRWA), potrebbe essere fatale.Forse gli unici a potersi vantare di aver ottenuto qualcosa sono gli attivisti della Freedom Flottilla: se non fosse stato per loro e per la paura che, da solo, uno sparuto gruppo di pacifisti è riuscito a fare quello che potenze mondiali (come gli USA) o organizzazioni come UE e ONU, forse si starebbe ancora trattando.