Io, Cattiva e un caffè allo Statuto. 4 Ottobre, perché l’assalto a un Bar che si fa piazza di pace

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Almeno mezz’ora al giorno devi uscire, mi hanno detto. Convalescenza da gestire con tempi d’aria limitati ma obbligatori. Ho obbedito. Ma fino a un certo punto. Pochi passi dal portone di casa e mi sono infilata, come sempre, al Bar dello Statuto.Questo è il posto dei miei caffè. Quelli della pausa e del prima di…, dei cornetti ai frutti di bosco e del cappuccino caldo o freddo a seconda delle stagioni. Qui si legge mentre fuori scorre il viavai, si scrive anche se per strada i ritmi incalzano, c’è la miscela giusta tra bistrot e pausa lavoro. E la sera la pizza, fina sottile romana. BAS, il bar allo Statuto.Da qualche anno è il luogo, come altri nel rione, che gli esquilini scelgono e riconoscono come zona franca, anticamera di una rinascita condivisa. Un po’ come la sua dirimpettaia assonante MAS, l’Accademia di Moda e Costume, rinata sulle ceneri degli storici Magazzini allo Statuto (di cui ha preservato l’acronimo), quelli del popolo. Un rinnovamento, non uno stravolgimento: perché l’anima dei magazzini c’è ancora. E oggi è bellissima, con i manichini e le macchine da cucire a vista, con generazioni di nuovi talenti imparano a tagliare e a cucire. Novità e tradizione che si fondono, rispetto per le botteghe storiche ma anche voglia di contaminazione. La spinta avanti. Ed emoziona sempre, a una certa ora del giorno, vedere i ragazzi che nelle pause attraversano la strada per andare da MAS a BAS.E così sono stata lì, il giorno dopo l’assalto. Ho scelto senza riflettere il tavolino di sempre. Di fronte a me il ragazzo riccio del bancone, davanti a me un libro e un caffè. Mezz’ora, solo mezz’ora. Trenta minuti d’uscita, il tempo giusto per testimoniare la vicinanza di un residente.Mentre stavo dentro, il libro tra le mani, le scene sparute di guerriglia gratuita della sera del 4 Ottobre sono tornate con i rumori dei cassonetti buttati a terra per bloccare le strade, con le immagini dei poliziotti in tenuta antisommossa, con la macchina bruciata che difficilmente dimenticherò e mi chiedo perché. A dire il vero mi chiedo chi li ha mandati, chi li ha indirizzati, a chi hanno obbedito. Ma soprattutto chi ha dato loro quel risalto che non meritavano. Perché.Ho sollevato gli occhi dal libro e ho rivisto le immagini dell’aggressione al BAS, e in quel momento mi sono resa conto di essere seduta sotto al vetro danneggiato. Mi sono chiesta, ma quanti erano e soprattutto, che cosa volevano. Anzi, che cosa non volevano.Il rumore delle piazze. Sobbalzo. E’ Cattiva che parla, la mia alter ego. ll rumore delle piazze. Un’ondata che deve aver intimorito chi la osservava da lontano, tsunami che non si ricordava così dalla manifestazione per l’articolo 18. Quindi si può fare, deve aver sussultato qualcuno. Quindi il rischio c’è, deve aver fatto eco qualcun altro. Il rumore delle piazze, eccolo il detonatore, il rumore delle piazze, che non è una, ma sono tutte e ovunque. In Italia e non solo. Adesso come mai.Mi sono guardata intorno. Un tavolo dopo l’altro, un cliente dopo l’altro.Un tintinnio, ecco com’è nata. Un tintinnio che non hanno visto arrivare e che li ha sorpresi inermi. Un tam tam che si è fatto marea umana e che si è trasformato in una grande festa per i diritti. Una festa che quindi andava guastata, rovinata, imbrattata. Roma il 4 Ottobre come Milano il 22 Settembre. Quanto ancora dovremo vederle le immagini della stazione meneghina mentre l’Italia – bloccata – applaudiva gli scioperanti. E quanto ancora infurieranno quelle del Bas, invaso, danneggiato, la macchina a fuoco, i vetri rotti.Non è successo niente, dirà qualcuno. E invece no, mi mormora Cattiva.Perché un’aggressione non è mai niente, è sempre molto più di qualcosa. E due aggressioni, proprio a manifestazioni quasi concluse raccontano tutto. Ad esempio, il disegno di una regia che deve mettere la sua firma di disturbo su un’iniziativa libera democratica e vincente che funziona e che rischia di essere ricordata come pacifica proprio nel giorno in cui ad Assisi, terra di pace per eccellenza, si consumavano polemiche mal riportate, difficilmente gestite dal pulpito, alquanto sopite nelle contestazioni pur evidenti.Ho sussultato. Ho sospirato. Ho ricontrollato il caffè, sì, era finito. Ho chiesto a Cattiva di tacere, di farmi gustare almeno quella mezz’ora.Ma lei niente. Il 4 Ottobre l’autentico spirito di pace era per le strade, non ad Assisi. La vera festa era nelle piazze, dove nessuno parlava dall’alto; era nei cortei senza slogan politici o pre-elettorali; era nel fiume di gente non stanca che ha invaso un Paese dopo averlo bloccato il giorno prima. E allora, Cattiva è in grande spolvero, mi sento maliziosa, non è che qualcuno ha deciso che il titolo di giornata della pace dovesse prenderselo un altro evento? Zitta, Cattiva, smetti di pensare. E invece lei pensava. Tipo, vedi mai che si è evitato che la più grande manifestazione per i diritti umani degli ultimi venti anni prendesse il titolo di Giornata per la Pace?Zitta, devo averle detto a voce un po’ alta, ma lei come se io non esistessi. Non è che donna-madre-cattolica rischiava di perdere la ribalta tra l’altro in zona sicura, dov’era anche facile vincere? (Cattiva, sei proprio cattiva cattiva).Mi sono alzata, si era fatto tardi. Ma Cattiva insisteva, le bombe dell’odio che rovinano le feste non esplodono mai a caso.BAS, questo caffè all’angolo tra via Leopardi, piazza Vittorio e via dello Statuto nel tempo ha riconsegnato alla città uno spazio di pausa e di ritrovo in controtendenza rispetto ai tanti pregiudizi che alimentano l’immagine del rione. E’ una piazza anche BAS. Piena di giovani, studenti, turisti, artisti, famiglie. Nodo di scambio, confronto, dibattito. Punto di svolta, con quella vicinanza a Santa Maria Maggiore scelta da Francesco per il suo funerale laico che racconta l’altro sguardo del mondo. Probabilmente quello che va distolto, nelle intenzioni di chi infuoca i disturbatori.Me ne sono andata, un passo dopo l’altro, osservando quel che mi circondava.Il Bar allo Statuto è in una posizione che deve far riflettere e che non va sottovalutata: la topografia ha un perché. Si trova nel crocevia delle due anime che alimentano il rione Esquilino: da un lato quella progressista, integrativa, multiculturale; dall’altro, quella nera e reazionaria, quella che le cronache riconducono a Casa Pound e ai sussulti del Colle Oppio.Prima di uscire confesso di aver controllato se c’era ancora un goccino di caffè nella tazzina. Ma niente, era pochissimo, era venuto troppo stretto. La prossima volta glielo dirò al ragazzo riccio, normale per favore. Sulla porta d’uscita mi fermo, guardo prima da un lato, poi dall’altro. Finché si sta dentro, si sa dove si è. Quando si esce, bisogna saper scegliere in quale direzione andare. A Roma come ovunque oggi in Italia. Io per fortuna, vado in giro sempre con Cattiva.L'articolo Io, Cattiva e un caffè allo Statuto. 4 Ottobre, perché l’assalto a un Bar che si fa piazza di pace proviene da Il Fatto Quotidiano.