Caso Almasri, relazione maggioranza: “Negare autorizzazione a procedere, governo ha agito per interesse dello Stato”

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Si avvicina il voto dell’Aula della Camera sull’autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri della Giustizia, Carlo Nordio e dell’Interno, Matteo Piantedosi, e del sottosegretario di Stato, Alfredo Mantovano, per favoreggiamento e peculato per il caso di Najeem Osama Almasri, il capo della polizia giudiziaria libica arrestato il 19 gennaio scorso a Torino dietro mandato della Corte penale internazionale per crimini di guerra e poi rilasciato e rimpatriato con un volo di Stato due giorni dopo. Domani 9 ottobre il deputato di Forza Italia, Pietro Pittalis, riferirà sul contenuto della relazione di maggioranza, che proporrà all’Aula di negare l’autorizzazione a procedere nei confronti dei tre rappresentanti del governo, ritenendo che abbiano agito nell’interesse dello Stato. Ecco le motivazioni della relazione, visionata da LaPresse. “Dal Tribunale dei ministri gravi vizi procedurali”Nella domanda di autorizzazione a procedere “le violazioni commesse dal Tribunale dei Ministri di Roma sarebbero tanto gravi e numerose da rendere persino superfluo un esame nel merito della vicenda“, si legge nella relazione di maggioranza, che cita le note difensive inviate lo scorso 15 settembre alla Giunta per le autorizzazioni di Montecitorio dagli esponenti di governo. Le note “si aprono con una contestazione preliminare che prospetta la irricevibilità della domanda di autorizzazione a procedere, formulata dal Tribunale dei Ministri di Roma”. Il primo profilo di illegittimità denunciato, viene spiegato, “riguarda il mancato rispetto dei termini per la definizione della fase delle indagini preliminari, che la legge costituzionale n. 1 del 1989 fissa in novanta giorni prorogabili di ulteriori sessanta, ma che nel caso di specie si è protratto ben oltre (circa sette mesi) senza giustificazione”. Tale ritardo, quindi, “inciderebbe sul principio costituzionale della ragionevole durata del processo e genererebbe un’incertezza incompatibile con le responsabilità di governo di ciascuno degli accusati”. Oltre a ciò, viene sottolineato “il mancato rispetto delle garanzie difensive: il Tribunale dei Ministri ha respinto la richiesta dell’avvocato difensore di sentire il Sottosegretario Mantovano, il quale si era offerto di chiarire l’intera vicenda avendo coordinato le fasi oggetto d’indagine. Questo rifiuto costituirebbe una lesione inedita del diritto di difesa”.Un secondo vizio del procedimento, poi, “deriverebbe dalla violazione del principio del contraddittorio, sancito dall’art. 111 della Costituzione. Mentre al Procuratore della Repubblica è stato richiesto un parere almeno due volte, la difesa dei Ministri è stata privata dell’accesso al fascicolo se non in prossimità della conclusione della procedura, senza la possibilità di incidere sul compendio probatorio. A questo deficit di contraddittorio si sommerebbero le ripetute fughe di notizie, denunciate dallo stesso Tribunale, con la conseguenza che atti sottratti alla difesa sarebbero stati invece resi pubblici attraverso la stampa, senza che seguissero provvedimenti giudiziari efficaci per reprimere la violazione del segreto istruttorio”.Secondo la difesa dei ministri, si legge ancora nella relazione, “un’ulteriore anomalia concerne la qualificazione, da parte del Tribunale, delle dichiarazioni rese in Parlamento dai Ministri dell’Interno e della Giustizia in occasione dell’informativa resa il 5 febbraio 2025 come vere e proprie versioni difensive utilizzabili contro di loro, nonostante si trattasse, invece, di adempimenti del dovere istituzionale di informare le Camere e non di interrogatori resi con assistenza difensiva. Poiché le norme processuali e la Costituzione consentono di utilizzare le dichiarazioni dell’indagato soltanto in presenza del difensore, la loro acquisizione a fini probatori è ritenuta illegittima e condurrebbe all’inutilizzabilità dell’intera ricostruzione operata dal Tribunale”.Insomma, la tesi difensiva evidenzia “gravi vizi procedurali che avrebbero inficiato l’attività del Tribunale dei Ministri. Dette violazioni, che in un procedimento ordinario comporterebbero la nullità degli atti, priverebbero di valore giuridico la stessa domanda di autorizzazione, da considerarsi tamquam non esset”, (come se non esistesse).“Pregiudizio dal Tribunale dei ministri”“L’impostazione del Tribunale” dei Ministri “sarebbe segnata da un vizio originario di metodo, individuabile in un pre-giudizio che si tradurrebbe letteralmente in un giudizio anticipato non fondato su un effettivo riscontro probatorio”, sostiene ancora la tesi difensiva citata nella relazione. “Questo atteggiamento”, si legge ancora, “emergerebbe in primo luogo dal sistematico screditamento dei testimoni non in linea con la tesi accusatoria, tra i quali si annoverano figure di alto profilo istituzionale quali il Capo della polizia, il Direttore del Dipartimento informazioni per la sicurezza e il Consigliere diplomatico del Ministro della giustizia. Secondo il Tribunale, tali testimonianze sarebbero inattendibili”. E la stessa “logica pregiudiziale“, si legge ancora nel documento, “trasparirebbe laddove il Tribunale sostiene che la Capo di Gabinetto del Ministro Nordio, la dott.ssa Bartolozzi, avrebbe operato in autonomia (cioè senza avvalersi delle altre strutture del Ministero) contrariamente alla prassi, dimenticando che si trattava del primo caso in Italia di esecuzione di un mandato della Corte penale internazionale, e dunque di una situazione priva di precedenti cui riferirsi e ignorando altresì che la competenza relativa alla esecuzione di un mandato della Corte Penale Internazionale è in capo esclusivamente all’Ufficio di Gabinetto”. La posizione della capa di gabinetto del ministero della Giustizia, Giusi Bartolozzi, iscritta nel registro degli indagati per false informazioni al pubblico ministero, sarebbe “ugualmente significativa” secondo la tesi difensiva. La difesa, spiega la relazione, “evidenzia la stretta connessione tra le sue dichiarazioni e il segmento ministeriale dei fatti, prospettando che, se non si fosse attivato il procedimento davanti al Tribunale dei Ministri, non si sarebbe verificata la sequenza che ha condotto a qualificare come ‘mendaci’ le sue affermazioni. In questa prospettiva, la mancata rimessione della sua posizione alla Giunta, quale ‘co-indagata laica’ per fatti inscindibilmente connessi a ipotesi di reato ministeriale, sarebbe indice ulteriore della volontà di spezzare artificiosamente l’unitarietà della vicenda, per farla transitare in un processo ordinario con un ampliamento mediatico della platea di soggetti chiamati a deporre. L’assunto, al di là del merito, rileverebbe per l’’indice sintomatico’ di pre-giudizio strutturale prospettato dalla difesa”. Da questo punto di vista, dunque, “le memorie dei Ministri auspicano che la Giunta garantisca il pieno rispetto della legge costituzionale, ritenendola vistosamente violata, e si muova quindi ‘nella direzione opposta a quella voluta dal Collegio di Roma”.“Escludere Bartolozzi da autorizzazione a procedere elude garanzie parlamentari”Inoltre, si legge nella relazione, gli atti relativi a Bartolozzi avrebbero dovuto essere trasmessi alla Camera “affinché si pronunciasse sull’autorizzazione a procedere anche con riferimento” alla sua posizione, nell’ambito “della procedura di autorizzazione a procedere per connessione di reati“. Nel documento si evidenzia che Bartolozzi “ha rivestito un ruolo significativo nella gestione e nella valutazione delle implicazioni istituzionali connesse all’arresto di Almasri, avendo partecipato agli incontri svoltisi tra il 19 e il 21 gennaio 2025, coordinato in quei giorni l’operato degli uffici ministeriali e dato esecuzione alle direttive politiche del Ministro” e viene ricordato che “il Tribunale dei Ministri ha assunto sommarie informazioni dalla medesima in data 31 marzo 2025; nella relazione trasmessa alla Camera si afferma che ella avrebbe reso dichiarazioni mendaci” e perciò “il Procuratore della Repubblica di Roma ha proceduto alla sua iscrizione per il reato di false informazioni al pubblico ministero”. Tuttavia, sottolinea la relazione, “dalla lettura coordinata della relazione del Tribunale e dei pareri del Procuratore emerge una connessione sostanziale tra le contestazioni elevate ai Ministri Nordio e Piantedosi e al Sottosegretario Mantovano e l’ipotesi di reato ravvisata nei confronti del Capo di Gabinetto. Nella vicenda in esame, le dichiarazioni che il Tribunale qualifica come mendaci sarebbero state rese in relazione ai medesimi fatti per i quali al Ministro sono attribuiti reati funzionali”. E lo stesso Nordio, viene ancora rimarcato, “ha più volte dichiarato di essere stato costantemente informato, momento per momento, dalla dott.ssa Bartolozzi circa le varie fasi della vicenda. Seguendo l’iter logico prospettato dal Tribunale, ne potrebbe inferirsi che le asserite falsità siano state poste in essere al fine di preservare il Ministro dalla contestazione dei reati ministeriali, integrando così una connessione teleologica. Con specifico riguardo al rapporto tra reati ministeriali e reati comuni, le previsioni di cui alla legge costituzionale n. 1 del 1989 impongono l’applicazione della disciplina generale della connessione, evitando che, in presenza di un vincolo teleologico, la competenza venga frammentata tra diversi giudici. Diversamente opinando, si rischierebbe di eludere, mediante qualificazioni giuridiche artificiose, le finalità della garanzia parlamentare, poiché l’accertamento del c.d. reato satellite, autonomo ma strumentale, imporrebbe comunque una valutazione della condotta del Ministro, incidendo sul nucleo funzionale della stessa e aggirando indirettamente il filtro previsto dall’art. 96 della Costituzione. L’unitarietà della vicenda processuale e l’attrazione del reato strumentale al reato funzionale depongono, pertanto, per la necessità di subordinare la prosecuzione anche del procedimento a carico della dott.ssa Bartolozzi alla richiesta di autorizzazione a procedere”. In conclusione, si legge nella parte finale della relazione, “la scelta di procedere con le forme ordinarie nei confronti” della Bartolozzi “determina un pregiudizio concreto alle prerogative costituzionali della Camera, che va invece evitato mediante un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’istituto della connessione e della procedura di garanzia prevista dalla legge costituzionale n. 1 del 1989. Resta quindi ferma la possibilità per la Camera di valutare nella sede opportuna le iniziative più idonee a salvaguardare le proprie prerogative che la maggioranza della Giunta ritiene compromesse”.“Non concedere l’autorizzazione, governo ha agito per interesse dello Stato”“Alla luce delle considerazioni svolte, la Giunta propone all’Assemblea di negare l’autorizzazione a procedere nei confronti dei Ministri Nordio e Piantedosi nonché del Sottosegretario Mantovano, reputando che essi abbiano agito per tutelare interessi dello Stato costituzionalmente rilevanti e per perseguire preminenti interessi pubblici nell’esercizio della funzione di governo, ai sensi e per gli effetti dell’art. 9 della legge costituzionale n. 1 del 1989″, si legge quindi nelle conclusioni di Pittalis. “Secondo la prospettazione difensiva, al netto degli errori di fatto e di diritto contenuti nella relazione del Tribunale dei Ministri, l’operato degli esponenti governativi non sarebbe stato ispirato da fini privatistici, ma avrebbe avuto come scopo la protezione della libertà personale e dell’incolumità dei cittadini italiani presenti in Libia, nonché della sicurezza nazionale. Parallelamente, si sarebbe perseguito un preminente interesse pubblico, consistente nel disinnescare rischi seri e concreti per le attività economiche strategiche di imprese italiane attive in territorio libico“, prosegue il documento. “Il decreto di espulsione e l’utilizzo del volo di Stato per il rimpatrio immediato di Almasri, a seguito della sua liberazione, si sarebbero resi necessari per motivi di sicurezza nazionale. I documenti riservati dell’intelligence avrebbero infatti evidenziato che la permanenza in Italia di Almasri avrebbe potuto generare gravi criticità per l’Italia sotto il profilo diplomatico, commerciale e della sicurezza dei cittadini e delle istituzioni italiane presenti in Libia. Tali documenti avrebbero inoltre segnalato un rischio concreto di rappresaglie da parte della RADA Force, la quale eserciterebbe un capillare controllo sul carcere e sull’aeroporto di Mitiga, nonché su ampie aree della capitale libica e sulle attività portuali, doganali e navali. La stessa organizzazione, inoltre, avrebbe stretto alleanze con formazioni armate responsabili della sicurezza delle coste orientali, nei pressi del sito Mellitah Oil & Gas, snodo fondamentale per il gasdotto che rifornisce l’Italia“, viene ancora riportato. “Qualsiasi altra soluzione, meno tempestiva – è la linea difensiva – sarebbe stata incompatibile con l’urgenza della situazione, esponendo cittadini e strutture italiane a rischi concreti di ritorsione. L’azione, dunque, avrebbe avuto una funzione preventiva e di tutela, simile a quella necessaria per evitare episodi come l’arresto della giornalista italiana Cecilia Sala da parte delle autorità iraniane”. Questo articolo Caso Almasri, relazione maggioranza: “Negare autorizzazione a procedere, governo ha agito per interesse dello Stato” proviene da LaPresse