«Per me, io sono colei che mi si crede». Nell’indimenticabile scena finale di «Così è, se vi pare» di Luigi Pirandello la verità parla attraverso la signora Ponza, rivelando il suo aspetto paradossale: per esistere, ha bisogno di qualcuno che la ritenga tale, dunque di un atto di fiducia. Lo scrittore siciliano non avrebbe mai potuto immaginare che molti anni dopo sarebbe spuntata sui nostri schermi Tilly Norwood, un’attrice completamente realizzata con l’intelligenza artificiale, ma indistinguibile da un’interprete reale. Tilly è vera o falsa? Questo è il problema.«Ciò che spaventa di Tilly Norwood, creata dallo studio digitale Xicoia e lanciata in un video comico preventivamente ironico che deride la mancanza di originalità dell’IA, è quanto sia convincente con tutta la sua allegria da ragazza della porta accanto», ha scritto il critico del The Guardian, Peter Bradshaw, convinto che l’operazione sia «un sintomo della banalizzazione della cultura cinematografica» e che l’industria dovrebbe rifiutarsi di lavorare con queste «figure inquietanti, che plagiano le interpretazioni di generazioni di attori».Tilly NorwoodIl sindacato che rappresenta 160mila professionisti dello spettacolo negli Stati Uniti, Sag-Aftra, ha commentato duramente con una nota ufficiale: «La creatività deve restare al centro dell’esperienza umana. Non possiamo accettare che i performer siano rimpiazzati da prodotti sintetici». Per di più allenati sulla base di attrici e attori in carne e ossa, ignari di essere serviti allo scopo.La questione che Tilly solleva, però, va ben oltre il mondo del cinema e investe l’essenza stessa dell’arte e della creatività umana, interrogando ciascuno di noi sui confini tra realtà, immaginazione e produzione. Sono tre le lezioni che possiamo trarre dal suo debutto. Con una premessa: l’idea di ricorrere allo sketch comico, al registro della parodia, per presentare l’attrice perfetta fa parte integrante del progetto. Contribuisce ad alleggerire la portata di ciò che invece significa una rivoluzione dagli esiti ignoti, simile a quella negli scorsi decenni dall’avvento prima dei personal computer e poi di Internet.La prima lezione riguarda il metodo con cui leggere l’esperimento. È utile, senza alcun dubbio, evitare il catastrofismo, nonostante sia lampante il fatto che Tilly Norwood incarni una frontiera mai esplorata sinora e si muova in un territorio privo di regole. Da questo punto di vista, è certamente comprensibile lo sconcerto di chi vede calpestate in un colpo solo leggi e prassi che da anni regolano il lavoro degli artisti. Calma e gesso, però. Gridare allo scandalo da fermare può rivelarsi addirittura controproducente, soprattutto se l’intenzione è quella di combattere l’avanzata degli attori artificiali a suon di norme: la tecnologia corre in modo enormemente più veloce di qualunque strumento legislativo volto a governarne lo sviluppo.Da qui la seconda lezione: indossare le lenti degli economisti per analizzare Tilly per ciò che è, ovvero un prodotto che si aggiunge ad altri, potenzialmente capaci di stravolgere l’intero processo e l’intero mercato. Come ricordato sempre sulle pagine del The Guardian, due dei film vincitori dell’Oscar nel 2024, The Brutalist ed Emilia Perez, hanno utilizzato l’IA per migliorare le voci. È inoltre già accaduto che l’intelligenza artificiale sia stata usata per far risorgere sullo schermo attori scomparsi: da Peter Cushing, riportato in vita per il ruolo di Grand Moff Tarkin in Rogue One, a Carrie Fisher in Star Wars: Episodio IX.Non c’è in gioco, per giunta, soltanto la creazione di personaggi. Sono già disponibili strumenti che consentono sia di scrivere sceneggiature, sia di produrre interi lungometraggi senza l’ausilio di alcun creativo e di alcuna troupe. Con conseguenze inattese: spalancando nuove opportunità, chiunque grazie all’IA potrebbe arrivare a sfidare le grandi major. Non è remota l’ipotesi della nascita di due mercati paralleli: uno che continuerà ad essere basato su attori e attrici reali e su storie frutto della creatività umana, l’altro opera dell’intelligenza artificiale in ogni fase. Osservare le tendenze sarà cruciale per mettere in atto politiche lungimiranti, soprattutto sul fronte sociale (per alcuni mestieri la sparizione è un pericolo concreto) e formativo: sulle competenze si misurerà la competitività di tutti i Paesi.Queste considerazioni portano alla terza lezione, la più importante: rendere riconoscibile il prodotto dell’IA – che non è arte – senza infingimenti, nel cinema come in altri settori (lo studio di un avvocato o di un commercialista, la redazione di un giornale, una filiera e così via) aiuterà a scongiurare la sostituzione e a coltivare uno sviluppo tecnologico etico. Lo scenario peggiore che potrebbe materializzarsi è, infatti, quello dell’inganno: una società confusa, in cui nessuno sia più in grado di distinguere l’umano dall’artificiale, non sarebbe più intelligente. Diventerebbe disorientante e smarrita, esposta alla disinformazione e alla propaganda.Tilly Norwood è stata generata, ma rimane un insieme di dati. Potrebbe recitare in un film, persino creare un legame con i suoi fan, ma questo non farebbe di lei una persona. Sembra una ragazza della porta accanto, ma è soltanto un personaggio. Può essere colei che la si crede, parafrasando Pirandello, ma il compito di una nazione del nostro tempo è quello di fornire ai suoi cittadini gli strumenti per impedire che qualcuno possa pensare a lei come a un essere vivente.