«Io sono colpevole di tutto quello che sta accadendo di questo inenarrabile, indescrivibile massacro. Sono colpevole perché non sto facendo abbastanza. Sono colpevole perché a volte il dolore che questo mi provoca mi ferma, mi rende immobile. Sono colpevole e non sono ebreo, quindi non c’è un ebreo che sia più colpevole di me». Inizia così l’ultima opera di Vauro Senesi, in arte Vauro, in libreria da domani con “Io sono colpevole. Gaza: il silenzio ci rende complici” per Compagnia editoriale Aliberti. Il volume, impreziosito dalla prefazione di Francesca Albanese e dalla postfazione di Moni Ovadia, contiene due lunghi inserti di vignette che raccontano l’attacco alla Striscia di Gaza e una lunga intervista dell’editore Francesco Aliberti.Un libro urgente, un atto di accusa nei confronti dell’Occidente, dei governi, della società civile, di ognuno di noi, chiunque esso sia. Secondo Vauro nessuno ha fatto abbastanza per impedire il massacro, per impedire quello che l’ONU qualifica come genocidio. A due anni esatti dal 7 ottobre 2023, il sangue che cola sulle bandiere di Israele e della Palestina – la prima vignetta che cristallizza il massacro e che si trova in questo libro –, non smette di scorrere dalla matita di Vauro, che diventa irrimediabilmente rossa. Non potrebbe che essere così: Israele diventa un “pestello”, Gaza il “mortaio”, i bambini sono macchie di sangue, Netanyahu è raffigurato come un macellaio, come uno stratega a galla sul sangue dei civili. Oggi, all’indomani delle piazze e delle strade colme di indignazione, dei cortei pacifici, dell’arresto dei quarantasei cittadini italiani imbarcati sulla Global Sumud Flottilla, “Io sono colpevole” non è soltanto l’opera di un artista, ma un urlo comune che sta valicando i confini e che chiede soltanto una cosa: lo stop a un’aggressione ingiustificata.Pubblichiamo in anteprima, per gentile concessione dell’editore, la prefazione di Francesca Albanese e la postfazione di Moni Ovadia e alcune delle vignette contenute nell’inserto “La matita rossa”.Prefazione di Francesca AlbaneseL’orrore si può raccontare in tanti modi.L’orrore si può scrivere, cantare, trasferire di generazione in generazione attraverso il lascito pesante del verbo. L’orrore trova la sua rappresentazione più organica nella tragedia e nel dramma, e la più violenta nel silenziamento e nel diniego.Questo libro ci dimostra pagina dopo pagina, tratteggio dopo tratteggio, schiaffo dopo schiaffo (perché sfogliare queste pagine è come farsi schiaffeggiare), come anche la satira e la vignetta siano custodi e chiavi per la comprensione dell’orrore.A oltre settecento giorni dall’inizio dell’assalto genocida che Israele ha lanciato contro Gaza nell’autunno del 2023, dopo quel giorno devastante che fu il 7 ottobre per Israele, per chi lo ama e pure chi lo critica, leggere le prime impressioni macchianti la coscienza come “sangue che gronda”, leggere di quando i morti erano “poche” migliaia, o anche i bambini uccisi erano “solo” diecimila, fa quasi venire nostalgia del tempo che fu. La distanza tra i primi mesi dell’assalto distruttivo di Gaza e oggi è la misura dell’indifferenza di troppi al dolore altrui, della nostra consolidata predisposizione al tollerare il male quando non ci tocca, della nostra miseria umana che alla fine ci schiaccia con questa sentenza: non abbiamo imparato niente o quasi dell’orrore che fu.Viviamo un momento complesso e lancinante, non solo per l’apocalisse che Israele ha creato a Gaza, e per la pulizia etnica che avanza inarrestabile in Cisgiordania e Gerusalemme est, ma per la presa di coscienza in tempo reale di tantissimi. In questo momento di dolorosa consapevolezza c’è la chiave di volta. Questo non è il primo genocidio commesso in bella vista. È però il primo genocidio di cui molti di noi hanno contezza e che molti di noi stanno attivamente combattendo. Questo movimento di opposizione al genocidio e all’apartheid, che diventa messa in discussione dei valori e ordinamenti che avrebbero dovuto prontamente prevenirlo, o almeno già fermarlo e punirlo, cresce e non sarà facile fermarlo. Non prima di aver impresso una drastica battuta d’arresto a questo genocidio e che si garantisca che questo sia l’ultimo genocidio, e l’ultimo crimine di Israele nei confronti dei palestinesi, per il bene dei palestinesi e degli israeliani. Per il bene di tutti noi. Perché se perdiamo anche questa scommessa con la storia dovremo affrontare un mondo molto più tetro di quello che oggi ci custodisce. Meno libero. Meno uguale. Meno umano. ‹ › 1 / 7 1_ 9 ottobre 2023 ‹ › 2 / 7 3_18 ottobre 2023 ‹ › 3 / 7 7_14 novembre 2023 ‹ › 4 / 7 8_3 dicembre 2023 ‹ › 5 / 7 15_16 aprile 2024 ‹ › 6 / 7 16_14 maggio 2024 ‹ › 7 / 7 27_6 maggio 2025 Postfazione di Moni OvadiaConosco Vauro da molto tempo e da più tempo ancora l’ho seguito nella sua straordinaria opera che sapeva illuminare con una vignetta. Il senso di una temperie, dell’intenzione di un potere, di una svolta politica, di una verità occultata dalla mota dell’ipocrisia, del conformismo o della pavidità. Da qualche anno la nostra frequentazione è diventata più assidua, ci siamo trovati più volte a condividere impegni militanti contro la guerra, per sostenere diritti sociali, i diritti dei popoli oppressi e in generale i diritti degli ultimi.Ognuno di noi, percorrendo il proprio cammino, è approdato a uno stesso orizzonte ideale e politico. Oggi ci accomuna in particolare l’impegno totale per la causa del popolo palestinese, la denuncia radicale del genocidio in corso a Gaza e della pulizia etnica spietata messa in atto in Cisgiordania dall’Idf, in solido con le bande dei coloni fanatici con vocazione criminale. Per queste e altre ragioni, considero un dono che Vauro e il suo editore mi abbiano chiesto di scrivere una postfazione per il suo ultimo libro.Io sono colpevole è un atto necessario. Il titolo stesso è una denuncia che Vauro pronuncia contro sé stesso per non avere fatto e non avere saputo fare abbastanza perché il genocidio fosse impedito. Questa autodenuncia, scaturita da una profonda consapevolezza, ci interroga, ci chiama a chiederci: “Noi cosa abbiamo fatto? E cosa non abbiamo fatto?” Personalmente faccio eco a Vauro: “Anche io sono colpevole!”Da trent’anni ho assunto un impegno di piena adesione ai diritti dei palestinesi, allora erano pochi quelli che lottavano con piena coscienza dei piani che i sionisti stavano preparando per cancellare l’identità palestinese, prodromo del futuro genocidio che attendeva solo un pretesto.Io ho denunciato con tutte le mie forze, ma non è stato abbastanza, non ho saputo fare di più. Questo genocidio è terrificante non solo per il fiume di sangue di innocenti sparso con inaudita crudeltà e sadismo, ma anche per la fame e la sete come strumenti di sterminio, per i piccini uccisi con la modalità del tiro al bersaglio proprio mentre sperano di ricevere un cucchiaio di minestra. Il genocidio è spaventosamente terrificante per l’immenso numero di complici che avrà avuto. Anche i sedicenti progressisti, le sedicenti persone perbene che hanno blaterato: «Israele è l’unica democrazia del medioriente, due popoli due Stati», mentre i sionisti affinavano nella propaganda uno dei regimi di oppressione e violenza più infami degli ultimi decenni.Io sono colpevole è diviso in due parti, la prima è costituita da riflessioni di Vauro su diversi temi suscitati da interviste, la seconda parte è composta dalle sue vignette il cui carattere e senso è mostrato dall’uso inedito della matita rossa, il colore rosso. Come altrimenti riportare il core business del potere di questi tempi che vive, prospera e fa colossali affari generando oceani di sangue in cambio di dollari?Nella prima parte, attraverso le sue riflessioni sul senso di ciò che chiamiamo umano, Vauro rivela la sua profonda natura. Nella cultura yiddish una persona come Vauro è definita un mentsch. E chi è un mentsch è un vero essere umano. È tale chi, per dirla con il grande poeta palestinese Mahmoud Darwish, pensa agli altri. E ogni pensiero di Vauro è per gli altri. E l’alterità si esprime nella modalità più lancinante e più commovente nei più fragili, nei bambini, nei diseredati, nelle donne, nei vecchi. Tutte le riflessioni di Vauro sono uniformate a questo sguardo, a questo sentimento. In particolare, risuona con i bambini, li capisce, li sente, li ama. Il genio del teatro del Novecento, il polacco Tadeusz Kantor, diceva: «Noi siamo gli assassini della nostra infanzia, solo gli artisti si astengono da questo infanticidio». Vauro, che è un artista, non l’ha commesso e il suo bambino vive in lui adulto. Per questo le sue vignette sono diventate dolorose, di quel dolore che provano i piccini e provocano nei grandi.L'articolo “Io sono colpevole. Gaza: il silenzio ci rende complici”, il nuovo libro di Vauro. Ecco in esclusiva vignette, prefazione di Francesca Albanese e postfazione di Moni Ovadia proviene da Il Fatto Quotidiano.