AGI - Per due anni è stato l’unico a poter rimirare l’enigmatico sorriso di Monna Lisa. Se Ivan Graziani con la sua canzone “Monna Lisa” voleva rubarla e nasconderla in una cassa di patate, Vincenzo Pietro Peruggia la Gioconda di Leonardo da Vinci se la portò davvero via e se la tenne con sé. Peruggia morì a 44 anni l’8 ottobre 1925, in quella Francia dove aveva messo a segno il furto di un’opera d’arte più eclatante della storia. In seguito era pure riuscito a rientrare nel Paese transalpino semplicemente utilizzando il suo secondo nome sul documento d’identità. Emigrato in Francia come imbianchino e decoratore Di professione muratore, aveva lavorato dapprima col padre a Lione, ma poi nel 1907 era andato a Parigi dove le opportunità erano sicuramente di più. Lui, però, se ne creò una che l’avrebbe reso celebre: come imbianchino o decoratore non avrebbe mai potuto neppure pensare di diventare famoso. Assieme ad altri operai era stato inviato dalla ditta che l’aveva assunto al Museo del Louvre, per lavori di manutenzione e risistemazione di cornici e vetri di protezione. E qui si era imbattuto nel capolavoro dei capolavori. Pensò semplicemente di prendersi la Gioconda. Si era dapprima nascosto in una stanzetta, poi alle 7 del mattino di lunedì 21 agosto 1911, giorno in cui il museo era chiuso al pubblico, entrò nel Salon Carré attraverso una porta di servizio, posò a terra il quadro incorniciato, ritagliò la tela, poi l’arrotolò e se la mise così sotto alla giacca riuscendo ad allontanarsi indisturbato. Nell’orgasmo di quel colpo clamoroso sbagliò anche a prendere il mezzo pubblico che doveva riportarlo a casa: si ripresentò al lavoro in ritardo proprio per quell’errore, ma si giustificò parlando di postumi di una sbornia. Caccia al ladro in tutta Parigi. Fermati pure Apollinaire e Picasso L’indomani una scarica elettrica percorreva il Louvre. Dapprima si sperò che la Gioconda fosse stata spostata dal fotografo ufficiale del museo per catturare un’istantanea da catalogo, ma questi non ne sapeva nulla. Il quadro era stato proprio rubato. La polizia passò al setaccio l’intera Parigi, sguinzagliando informatori e confidenti ingolositi anche dalla taglia di ben 25.000 franchi (circa 9 milioni di euro attuali). Anche Peruggia venne interessato dalle indagini, come tutti quelli che lavoravano al Louvre, ma il suo modesto appartamento non venne perquisito e quindi nessun agente avrebbe potuto notare la ben nascosta nicchia di legno posizionata sotto al piano del tavolo. Per la polizia il colpo del secolo doveva essere opera di una banda specializzata di ladri d’arte e le indagini furono indirizzate altrove. Persino Guillaume Apollinaire e Pablo Picasso furono ascoltati dai poliziotti. La risposta a un annuncio e l’arresto dei carabinieri a Firenze Intanto il ladro se n’era tornato dalle sue parti, e per un paio d’anni convisse tranquillamente con Monna Lisa. Poi, però, con lo pseudonimo di Monsieur Léonard V., rispose ingenuamente all’annuncio del collezionista fiorentino Alfredo Geri su un prestito di quadri in possesso di privati per una mostra nella sua galleria d’arte, proponendogli di vendergli la Gioconda, dietro l’impegno a farla rimanere in Italia. Geri, sorpreso perché sapeva benissimo che il quadro era stato rubato al Louvre, fissò un incontro con l’anonimo interlocutore per l’11 dicembre 1913 in un albergo di Firenze, con l’accortezza di farsi accompagnare dal direttore della Regia Galleria, Giovanni Poggi, al quale Peruggia consentì di esaminare l’opera che voleva vendere. Il giorno dopo nella sua camera d’albergo si presentarono i carabinieri che fecero scattare le manette ai polsi e lo misero in prigione in attesa del processo. La storia di Monna Lisa e Napoleone che la teneva in camera da letto Nel frattempo l’opinione pubblica parteggiava apertamente per il ladro, che era visto in qualche modo come un eroe del riscatto nazionale, soprattutto dopo che aveva dichiarato di essersi impadronito della Gioconda per restituirla all’Italia alla quale era stata rubata da Napoleone. Ma questo non era affatto vero. Napoleone aveva razziato dappertutto opere d’arte portate in Francia a fare la fortuna dei suoi musei, ma non il capolavoro che Leonardo aveva accettato di realizzare tra il 1502 e il 1503 a Firenze su incarico del ricco mercante Francesco del Giocondo che desiderava avere il ritratto della moglie Lisa Gherardini. Solo che il genio di Vinci, perfezionista, ci aveva messo quattro anni a terminare la tela, portandosela poi nel 1507 a Milano, e non ancora soddisfatto continuò con i ritocchi ancora nel 1513 e nel 1517 se la portò dietro pure ad Amboise, dove aveva accettato di lavorare per il re di Francia Francesco I. Alla morte di Leonardo la Gioconda entrò nel patrimonio privato reale e dopo la rivoluzione in quello repubblicano e pubblico della Francia. Napoleone in questa storia c’entra solo perché il ritratto gli piaceva talmente tanto da esserselo portato a casa per appenderlo nella camera da letto della moglie Joséphine. La condanna mite e il ritorno nella Ville Lumière con un trucco Il ladro Peruggia venne condannato com’era ovvio, ma i giudici furono clementi e se la cavò con un anno e 15 giorni di carcere, pena poi ridotta in appello a sette mesi e 8 giorni. Quando tornò libero, nel 1915, venne accolto da un comitato di studenti universitari che gli consegnò una somma raccolta con una colletta: 4.500 lire, equivalenti a poco meno di 22.000 euro attuali. L’Italia, che si era impegnata a restituire la Gioconda al Louvre, ottenne però di poter esporre prima l’opera alla Galleria degli Uffizi a Firenze e poi a Roma, all’Ambasciata di Francia e alla Galleria Borghese. Peruggia, che prima di emigrare era stato ritenuto inabile al servizio militare, partì per la guerra, venne preso prigioniero degli austriaci a Caporetto e finirà in un campo di concentramento. Si sposerà alla fine del 1921 e tornò con la moglie in Francia con l’identità di Pietro Peruggia, stabilendosi nella periferia di Parigi, dove nacque nel 1924 la sua unica figlia, che riceverà il soprannome familiare di Giocondina. Il ladro del Louvre morirà per infarto fulminante l’8 ottobre 1925, nello stesso giorno del compleanno.