E adesso come la mettiamo col celebre, sacrosanto, persino costituzionale principio per cui “la giustizia è uguale per tutti”? L’informativa della Guardia di Finanza sull’affare Osimhen, i messaggini e le intercettazioni fin troppo espliciti tra i dirigenti partenopei rivelati dal quotidiano La Repubblica, non riapriranno il processo sportivo ma sicuramente la ferita per lo scandalo plusvalenze.Inutile riepilogare come andò a finire due anni fa, i fiumi di polemiche, il processo per certi versi sommario che portò ad una sentenza salomonica ma al contempo pesantissima per la Juventus, con i tifosi bianconeri tutt’ora convinti di aver subito un’ingiustizia, di aver pagato soli ciò che nemmeno troppo sottobanco facevano tutti. La colpa della Juve fu quella di aver elevato a sistema un malcostume diffuso, insomma, di averla fatta semplicemente troppo sporca. Si è sempre detto che i bianconeri pagarono per tutti perché erano stati gli unici a farsi beccare con le mani nella marmellata, grazie all’inchiesta della magistratura ordinaria, che a differenza di quella sportiva priva di veri strumenti inquisitori, con sequestri e intercettazioni aveva trovato le prove dell’illecito, portando alla condanna sportiva (e recentemente anche al patteggiamento di Agnelli &Co. nel procedimento penale). Tutto giusto. Il quadro però ora cambia con le rivelazioni emerse dall’inchiesta della Procura (prima Napoli, poi Roma) sull’affare Osimhen.Il Napoli oggi ha replicato con una nota ufficiale in cui sostiene che dall’informativa “non emerge un disegno illecito, bensì la normale dinamica di una trattativa legata alla compravendita di calciatori, fisiologica nel settore e priva di profili penalmente rilevanti”, e anzi condanna la pubblicazione sulla stampa “di atti che, per la loro natura, avrebbero dovuto rimanere riservati”. Al di là della diffesa d’ufficio, qui però siamo di fronte ad un quadro indiziario molto chiaro su quanto avvenuto nell’estate del 2020. Le solite indiscrezioni pilotate dalla FederCalcio si sono subito affrettate a chiarire che dal punto di vista sportivo il caso è chiuso, perché già giudicato nel processo plusvalenze 2022 (l’affare Osimhen era proprio una delle operazioni sotto esame), che si concluse con un’assoluzione per tutti i club vista l’impossibilità di dare un valore oggettivo al cartellino dei giocatori e provare l’illecito. E che oggi non esistono nuovi e incontrovertibili elementi, come successo invece per la Juve. Ma è davvero tanto diverso il famoso libro nero di Paratici, in cui il dirigente bianconero indicava con una semplice “X” i giocatori da scambiare ad una certa cifra per raggiungere la plusvalenza prestabilita, dalla corrispondenza tra Napoli e Lille in cui i responsabili dei due club passano in rassegna i diversi carneadi da inserire nell’affare, fino a trovare la quadra con Karnezis e i tre primavera Liguori, Manzi e Palmieri, mai nemmeno arrivati in Francia? Oppure le intercettazioni compromettenti dell’inchiesta Prisma, dal presidente del Lille, Gérard Lopez, che parla di “valore nominale”, lasciando intendere l’esistenza di una differenza artificiosa con quello di mercato, o Pompilio, all’epoca vicedirettore sportivo del Napoli che intima a Giuntoli di “non scrivere nulla”?Attenzione, nessuno in buona fede può sostenere che le due vicende siano identiche. Rimane la differenza strutturale fra un illecito acclarato, sistemico e continuativo nel tempo praticato dalla Juve (fattori decisivi per la quantificazione della penalità in classifica, su cui i giudici sportivi hanno insistito molto nelle motivazioni) e una singola operazione maligna. Che tra l’altro è stata decisiva per le sorti del Napoli: di fatto, grazie a Osimhen, De Laurentiis ha vinto uno scudetto, e con la sua cessione milionaria al Galatasaray si è pagato l’ultimo mercato; come sarebbe cambiata la Serie A se l’acquisto del nigeriano non fosse andato in porto perché incompatibile con le finanze azzurre? Ma anche si fosse trattato di un calciatore meno determinante, di fronte ad elementi così chiari, avendo cioè in mano le possibili prove che le erano sempre mancate in passato, una giustizia degna di questo nome non può far finta di nulla: dovrebbe avere l’imparzialità, l’onestà e il coraggio di sollevare il caso, lasciando poi ai giudici il compito di decidere eventualmente una sanzione congrua, che non sarebbe certo la stangata della Juve per le differenze che abbiamo appena sottolineato, ma nemmeno la totale impunità per una frode più che sospetta (per cui, ricordiamo, in sede penale è stato anche chiesto il rinvio a giudizio di De Laurentiis). Così non sarà, perché la Procura ha preferito ignorare gli atti ricevuti dalla magistratura, forse semplicemente per pigrizia, o per paura di imbarcarsi in un altro processo che sarebbe stato devastante a livello mediatico per la Federazione. Però allora per una volta hanno ragione i tifosi della Juventus: no, la giustizia – almeno quella sportiva – non è uguale per tutti.X: @lVendemialeL'articolo Juve stangata, Napoli no (nonostante le prove): hanno ragione i tifosi bianconeri, la giustizia sportiva non è uguale per tutti proviene da Il Fatto Quotidiano.