Sul caso di caporalato che sta travolgendo Tod’s è battaglia aperta tra la procura e il tribunale di Milano. Dalle ultime indagini dei carabinieri, sono emersi nelle Marche due laboratori cinesi tra Macerata e Fermo in cui sarebbe palese la violazione delle norme contro lo sfruttamento. Anzi, secondo gli inquirenti, la stessa maison sarebbe colpevole di «agevolazione colposa», tanto da spingere alla richiesta di commissariamento per la casa di moda di Diego della Valle. Ma proprio per la ubicazione di questi opifici, i togati lombardi stanno spingendo perché il procedimento venga trasferito nelle mani della procura di Ancona, competente per territorio. Una conclusione contro cui i pm della Madonnina stanno imbastendo una vera e propria guerra giuridica.Le condizioni di lavoro e le paghe da fame«Paghe da fame, lavoro notturno e festivo, luoghi fatiscenti dove si lavora e si mangia e si dorme, macchinari privi di sistemi di sicurezza per aumentare la produttività concretizzano condizioni di lavoro ottocentesche». Questi, in una frase, erano i laboratori delle società fornitrici di Tod’s, dove funzionari della maison «periodicamente si recavano», riconoscendo talvolta chiaramente la violazione delle norme. Nelle Marche, tra “Wang Junii” a Monte San Giusto (Macerata) e “Lucy srls” a Torre San Patrizio (Fermo), si lavoravano parte di calzature, in particolare tomaie da orlare destinate alla vendita al pubblico. Qui i lavoratori erano pagati dai 4,5 ai 4,8 euro all’ora – meno della metà rispetto al contratto – e lavoravano «anche di notte in ambienti di lavoro malsani». Le divise dei commessi e il caporalato lombardo: «Tod’s è solo cliente»Se la storia fosse tutta qui, poco ci sarebbe da ridire sul trasferimento di competenza alla procura di Ancona. Ma il caso è ben più ampio, perché coinvolge anche la «Zen confezioni srl» a Baranzate e nella impresa individuale «Li Quingdong», entrambe subfornitrici della «Maurel srl», a sua volta subfornitrice della Ritaglio Magico fornitrice primaria di Tod’s. Tutte attività sotto la diretta competenza della procura di Milano e in cui lavoratori, in condizioni analoghe a quelli marchigiani, fabbricavano le divise per i commessi dei negozi Tod’s. Allora perché tribunale e Corte d’Appello di Milano spingono perché il procedimento si trasferisca nelle Marche? Secondo i togati, per quanto riguarda gli opifici lombardi, la maison «riveste le caratteristiche di un cliente che richieda una fornitura di prodotti per lo svolgimento della sua attività». E in questo modo non potrebbe partecipare, anche solo colposamente, al reato di caporalato perché commesso da «subfornitori di secondo livello nella catena dell’appalto che vede la Tod’s spa committente».La contestazione della procura: «Così si distingue caporalato buono da cattivo»Tesi che la procura di Milano, come ha scritto il pm Paolo Storari nel ricorso in Cassazione, rifiuta con forza definendola «francamente incomprensibile». Anche perché, secondo il pubblico ministero, «la distinzione tra prodotti destinati alla vendita (scarpe, dove Tod’s dovrebbe effettuare un penetrante controllo) e prodotti ad uso interno (divise, dove Tod’s non dovrebbe controllare nulla), pare introdurre una sorta di distinzione tra caporalato consentito e non consentito, che è fuori dal sistema». Inoltre, sempre secondo Storari, «la conclusione che Tod’s non è in colpa non appare condivisibile posto che l’omissione di controllo di Tod’s nei confronti dei propri subfornitori in pesanti situazioni di sfruttamento integra quella violazione cautelare che concretizza la colpa di organizzazione». A decidere sarà la Cassazione il prossimo 19 novembre. L'articolo Tod’s e il caporalato dei fornitori: «Condizioni ottocentesche, la maison sapeva» proviene da Open.